Preambolo – La società presente come materia romanzabile

di Benito Pérez Galdòs — Signori Accademici, / Quanti ricevettero qui onori simili a quelli che vi degnate di tributarmi in questa solennità, avranno sicuramente sentito meno turbamento di me, di fronte al dovere di dissertare su un tema letterario degno di voi e di questa illustre casa. Ordinano la cortesia e il costume che nell’entrare in questo, che ben posso chiamare ordine supremo delle Lettere, si diano prove di attitudini critiche e di solide conoscenze nelle varie materie dell’Arte, che coltivate con tanta gloria. Però colui che nella presente occasione avete tratto al vostro seno, con suffragio nel quale si deve vedere sempre più benevolenza che giustizia, ha consacrato la sua vita intera a coltivare l’aneddotico e narrativo, e per effetto delle deformazioni che produce nel nostro essere l’uso esclusivo di una facoltà e il suo forzato sviluppo a spese di altre, si trova privato quasi in assoluto di attitudini critiche, e non gli obbediscono le idee né la parola quando cerca di applicarle all’arduo esame dei peregrini ingegni che diedero lustro nella nostra nazione e nelle straniere alla Poesia, al Dramma o al Romanzo.

L’immenso lavoro dei secoli che furono, già sentenziato dal tempo e dall’opinione umana; il lavoro dei nostri contemporanei, più difficile da sentenziare nel viziato ambiente di questa atmosfera di dispute che autori e critici respiriamo, ugualmente spaventano l’animo di chi vi parla, bilanciandolo tra il rispetto e il pavore. Cerco di chiedere ausilio all’erudizione, a questa facile e sommaria sapienza che nei moderni centri di cultura può trovare chi si prenda il lavoro di cercarla. Però le biblioteche, anche nell’andare ad esse con l’onorato intento di beneficiare solo dei giacimenti a fior di terra, mi impongono un rispetto superstizioso, e le loro ingenti masse di lettere stampate, dal superficiale e corrente ad uso dello studente precoce, fino alle cappe profondissime di greco e latino, nelle quali solo penetra il minatore di professione, conturbano terribilmente il mio spirito, dandomi una impressione tanto chiara come triste della magnitudine di ciò che ignoro: di fronte a quei depositi di scienza, la mia fiacca memoria sviene, la mia ragione svanisce, e devo allontanarmi, convinto che lì dove altri trovano sorgenti di luce, di vita, di verità, io devo trovare solo confusione e avvilimento, forse l’errore e il dubbio.

A un altro obbligo, anch’esso imposto dal costume e dalla cortesia, posso dare più facile compimento in questo atto, poiché sebbene gli studi e lavori ai quali consacrò tutta la sua vita il mio degno antecessore D. León Galindo de Vera appartengono all’ordine legislativo, che quasi del tutto disconosco, hanno, per felice consorzio di facoltà, un valore letterario che noi profani in materia giuridica possiamo apprezzare chiaramente. Gratissimo è per me lodare la memoria del sapiente giureconsulto che seppe dare alle aride questioni del Diritto una forma di ineccepibile bellezza. Dal suo profondo studio della legislazione ipotecaria, alla cui impostazione contribuì attivamente, risultarono i Comentarios che tutti conoscete e apprezzate come un modello di letteratura giuridica. Nella sua Storia della lingua castigliana nei Codici, premiata dall’Accademia, ammiriamo la ricerca critica e la dizione pura (castiza) ed elegante. Fu anche storico dei Possedimenti spagnoli in Africa, e prodigò il suo intelletto in una moltitudine di scritti di controversie o di apologia religiosa, in cui risplendono il suo culto della tradizione e la forma severa e pura. A parte i suoi meriti letterari, fu generalmente apprezzato ed elogiato per l’integrità del suo carattere, per la fermezza delle sue convinzioni, piuttosto religiose che politiche, rialzate sempre per il più puro disinteresse.

Compiuto il dovere che mi imponeva la memoria dell’illustre Accademico al quale succedo, affronto di nuovo le difficoltà di questa solennità; e non potendo sperare cosa di profitto dalla erudizione né dallo studio critico, mi attengo alla vostra provata indulgenza, supplicandovi che mi permettiate per eccezione, che la mia inesperienza giustificherà, compiere questo tramite senza nessuno sfoggio né sforzo di scienza letteraria, chiudendomi entro i limiti modestissimi, senza altro oggetto che dare a questo atto l’estensione conveniente, ritenendo che l’eccessiva brevità possa essere presa per scortesia. Alla mia buona stella devo che sia stato designato per rispondere a queste indotte pagine un insigne ingegno [N.d.T.: Marcelino Menéndez Pelayo], critico e filosofo letterario, al quale la Natura dotò di prodigiose facoltà per definire e sviscerare tutta la scienza estetica del mondo, e inoltre di un’arte sovrane per esprimere le sue opinioni. Bene: la migliore prova di rispetto che posso dare all’illustre Accademico che si degna di rispondermi a vostro nome, è di non porre le mie mani profane nel sacro tesoro dell’erudizione e del sapere critico e bibliografico.

Se per una parte la mia incapacità critica e il mio istintivo distacco da ogni erudizione mi impossibilitano a dispiegare di fronte a voi un tema di pure lettere, dall’altra un’ineludibile legge della tradizione e del costume ordina che queste pagine versino sopra la forma letteraria che è stata la mia occupazione preferenziale, o meglio esclusiva, da quando caddi nella tentazione di scrivere per il pubblico. Che dirvi del Romanzo, senza appuntare alcuna osservazione critica sugli esempi di questa arte sovrana nei tempi passati e presenti, dei grandi ingegni che la coltivarono in Spagna e fuori di essa, del suo sviluppo nei nostri giorni, dell’immenso favore raggiunto da questo incantatore genere in Francia e in Inghilterra, nazionalità maestre in questa come in altre cose dell’umano sapere? Immagine della vita è il romanzo, e l’arte di comporlo si fonda sul riprodurre i caratteri umani, le passioni, le debolezze, il grande, il piccolo, le anime e le fisionomie, tutto lo spirituale e il fisico che ci costituisce e ci circonda, e il linguaggio, che è il marchio della razza, e le abitazioni, che sono il segno di famiglia, e la veste, che disegna gli ultimi tratti esterni della personalità: tutto questo senza dimenticare che deve esistere perfetto equilibrio di bilancia tra l’esattezza e la bellezza della riproduzione.

NOTA AL TESTO

**Traduzione / 2016: © Fabrizio Pinna – Diritti riservati. È questo il preambolo del discorso presentato da Benito Perez Galdòs il giorno della sua accoglienza nella Real Academia Española de la Lengua (7 febbraio 1897); il testo prosegue con il tema da lui scelto: “La società presente come materia romanzabile”.