GEORGES PALANTE – Tra le principali leggi sociologiche la cui azione si fa sentire sull’individuo, una legge gioca un ruolo importante: la legge dell’illusionismo sociale, la legge della menzogna di gruppo. Queste espressioni – illusionismo sociale, menzogna di gruppo – richiedono qualche spiegazione.
Una menzogna e un’illusione sono due cose distinte; e importa sapere se bisogna dire menzogna di gruppo o illusione di gruppo. Quando Nietzsche fa l’apologia della finzione e del suo ruolo nella vita sociale, non ha sufficientemente elucidato questo punto perché impiega di volta in volta e un po’ a caso le parole menzogna o illusione. Ugualmente quando un personaggio di Ibsen, Relling, nell’Anatra selvaggia parla di menzogna vitale, è piuttosto illusione vitale che bisognerebbe dire.
Illusione o menzogna, qual è quello di questi due termini che è il più esatto? Ciò dipende dai casi. Conviene a volte l’uno a volte l’altro di questi due termini. Ci sono credenze collettive che non implicano da parte di chi le adotta una espressa impostura, un disegno esplicito di ingannare se stesso e di ingannare gli altri. I gruppi, come gli individui, hanno una tendenza a illudersi sul proprio conto; a concepirsi altro da quello che sono, più forti, più grandi, più nobili, più influenti di quello che sono (popoli che si attribuiscono un’origine divina, che attendono un messia, etc.; burocrazie che esagerano in buona fede la loro importanza e i loro meriti).
In altri casi ci sono menzogne propriamente dette: menzogne di gruppo. Questa menzogna è una macchina da guerra, uno strumento di dominazione nelle mani del gruppo; un mezzo di difesa del gruppo contro le cause esteriori o interiori di distruzione. Un gruppo mente agli altri gruppi, vicini, alleati, rivali o nemici, sia per conciliarseli e trattenerli come amici, sia per intimidirli e conservarne il rispetto, sia per giustificare le proprie imprese contro essi (pretesti umanitari col quale si colorano le spedizioni coloniali; etc.). Un gruppo mente ai suoi stessi membri: spande tra loro le menzogne utili all’autorità e rende queste menzogne obbligatorie per gli individui se non vogliono incorrere in sanzioni sociali sgradevoli.
In un gruppo, quale che sia, non ogni verità è buona da dire, non ogni menzogna è buona da tacere. Qui si applicano le leggi dell’imitazione. Le menzogne concertate dapprima tra qualche minoranza si propagano in tutto il gruppo. Coloro che si accorgono della menzogna non osano contraddire perché la lungimiranza e la sincerità sono malviste.
Quando qui si parla di menzogna di gruppo non si tratta – in uno spirito di partito preso in favore dell’individuo – di dotare l’individuo di sincerità in contrasto con il gruppo mentitore.
L’individuo mente, in molti casi, fuori da ogni influenza di gruppo, fuori da ogni suggestione sociale e da ogni imperativo sociale. Egli mente per interesse egoista; mente a se stesso; tergiversa, gioca d’astuzia con l’autorità. La sua sottomissione è spesso apparente e nasconde dei sentimenti di rivolta o un segreto disprezzo. Ma a fianco delle menzogne che sono ispirate all’individuo dal suo egoismo personale, ci sono menzogne che gli sono imposte o suggerite dal gruppo. Sono queste le menzogne che noi chiamiamo propriamente menzogne di gruppo.
La menzogna di gruppo si distingue dalla menzogna individuale per le seguenti caratteristiche: 1. per la sua generalità; è comune a tutti i membri del gruppo; pressapoco è uguale per tutti, mentre la menzogna individuale varia con gli interessi differenti degli individui; 2. per il suo carattere di costrizione. La menzogna individuale è quella dove l’individuo prende l’iniziativa e che è destinata a servire il suo egoismo personale. La menzogna di gruppo è imposta all’individuo dal gruppo. Il fatto di non mentire insieme al gruppo comporta per l’individuo delle sanzioni; 3. terza differenza che risulta dalla precedente: differenza di valutazione morale. La menzogna egoista è giudicata reprensibile; la menzogna di gruppo è morale e meritoria. Non mentire, qui, sarebbe precisamente l’immorale.
«Essere veridico – dice Nietzsche – è mentire con il branco». C’è una menzogna di gruppo negativa che consiste nel tacere o dissimulare o negare una verità incresciosa o imbarazzante per il gruppo o, inoltre, a non presentare che un aspetto delle cose, l’aspetto favorevole all’interesse del gruppo e a lasciare l’altro in ombra. C’è una menzogna positiva che consiste in una intesa, una complicità per snaturare e falsificare certi fatti, per valutare falsamente gli atti e i caratteri delle persone a seconda degli interessi e le passioni del gruppo.
Ogni società vive d’illusione e di menzogna collettiva. Essa ha per nemici naturali la lungimiranza e la sincerità degli individui. Ma questi due elementi – illusione, menzogna – sono difficili da discernere nelle cose sociali e false come le chiama A. de Vigny. Il più delle volte sono così ben mescolate e ingarbugliate che è impossibile determinare la parte esatta che risale a uno o all’altro elemento nelle credenze collettive. Questa mescolanza può apparire difficilmente intellegibile a chi guarda le cose dal punto di vista della pura logica intellettuale, della logica fondata sul principio di contraddizione. Ma le regole della logica intellettuale non si applicano allo spirito di gruppo. Lo spirito di gruppo obbedisce alla logica del sentimento, del desiderio: alla logica dell’utilità che si burla del principio di contraddizione e non si spaventa dell’illogicità.
I logici hanno distinto i sofismi o i falsi ragionamenti fatti con l’intenzione di ingannare gli altri e i paralogismi o falsi ragionamenti fatti innocentemente. Ma quando si tratta di credenze collettive questa distinzione è vana. La questione di sincerità non si pone con la stessa nettezza. Le credenze collettive non si ragionano né si analizzano. Colui che crede non si rende conto della sua credenza e non ha altra misura per rendersi conto della sua credenza. La questione non si pone per lui in questi termini netti; credere o non credere. Si accontenta di credere a metà: crede una cosa senza esserne ben sicuro e crede perché ha interesse a credere, perché questo è comodo, perché altri lo credono, perché non sarebbe conveniente non crederci. E hanno bene nel fondo il sentimento che tutta questa credenza non è ben sincera né ben sicura di se stessa; ciò che non impedisce dall’affermarla, dall’ostentarla e dal proclamarla come sicura e indubitabile. C’è in questo una improbità intellettuale che è come la stoffa spirituale di cui sono fatte le opinioni e le credenze collettive.
L’individuo che pensa sotto la legge del gruppo non è più interamente lucido. Spesso incomincia nell’adottare e sostenere una menzogna di gruppo: poi, a forza di sentirla e di ripeterla finisce per dimenticare la sua natura menzognera e per sostenerla tenacemente come verità.
Il caso del mentitore che finisce per credere alla sua stessa menzogna non è così raro. Questo stato di spirito si incontra nei mentitori del gruppo, nei mentitori che sostengono una menzogna di gruppo come tra i mentitori individuali, il mentitore che opera per suo conto personale. L’uomo che pensa sotto la legge del gruppo potrà domandare a ogni momento: chi inganna qui? E potrebbe aggiungere che si inganna lui stesso, più o meno scientemente e volontariamente.
È per questo che lo spirito di gruppo si compiace delle idee vaghe, delle idee che hanno lasciato volontariamente non analizzate, perché la loro oscurità favorisce l’illusione e il mutuo inganno.
Le credenze di gruppo si attaccano volentieri a qualche oggetto vago, mal definito, simile a quel mitico Putois, eroe di un racconto di Anatole France. A Saint-Omer tutti ammettono l’esistenza di Putois, sebbene nessuno l’abbia mai visto. L’ammettono perché l’esistenza di Putois offre una spiegazione comoda di certi misfatti commessi nella città e per i quali non si trova l’autore. Bergeret padre, per essere un buon Audomarois, ammette come tutti l’esistenza di Putois. Ma, beninteso, lui lo ammette senza ammetterlo; lui ci crede senza crederci.
Fa sembrare di crederci, per concessione all’opinione, per deferenza all’opinione, deferenza condiscendente e un po’ sdegnosa. Bergeret è dunque un buon Audomarois. Perché ama troppo nel ragionare, nell’epilogare sull’esistenza di Putois. Essere un eccellente Audomarois consisterebbe nell’ammettere l’esistenza di Putois perché gli altri l’ammettono, senza commentarla né criticarla, e nell’arrivare infine a persuadersi di quest’articolo di fede.
Il mito di Putois è un buon esempio per far comprendere la natura delle mitologie ad uso dei gruppi e destinate a teorizzare e giustificare la supremazia del gruppo sull’individuo.
Consideriamo qualcuna di queste ideologie. C’è un’ideologia solidarista che consiste nel velare l’antagonismo congenito che fa di ogni individuo il nemico di tutti gli altri, per dispiegare ai nostri occhi la solidarietà che li collega; solidarietà sicuramente reale ma che non è che uno dei lati del quadro: lato che piace mettere solo in luce, lasciando l’altro lato in un’ombra prudente.
C’è l’ideologia razionalista che consiste nel sostenere che esiste una verità sociale che si impone agli individui; che l’ordine sociale è un ordine logico, razionale, davanti al quale l’individuo deve inchinarsi.
C’è un’ideologia egualitaria, dipendenza dell’ideologia razionalista, che prende la forma giuridica (tutti gli uomini sono uguali davanti alla legge).
C’è un’ideologia moralista che consiste nell’esagerare l’importanza della morale e del suo potere sulla condotta. Tutte queste ideologie sono unitarie; esse hanno per fine di far credere all’unità intellettuale, morale, politica, giuridica, della specie umana; all’unità di interessi, di diritti e di valore morale degli individui umani.
In tutte queste ideologie e in altre simili, è difficile fare la partizione della menzogna propriamente detta e dell’illusione. Molti di coloro che insegnano o sostengono queste ideologie sono in buona fede; essi non sono sempre interamente in buona fede. Sentono forse vagamente di essere degli avvocati che patrocinano una causa; che parlano non come individui pensanti ciascuno per propria parte, ma come professori, membri di un partito, di una scuola, etc.; che enunciano dalle labbra delle verità alle quali non credono molto fortemente nel fondo del cuore.
Ma è la disciplina sociale che li invita a non far parte ufficialmente agli altri dei loro dubbi. È in questo senso che è permesso di parlare di menzogna di gruppo o di semi-menzogna di gruppo.
In ciascuno di coloro – o perlomeno in alcuni – che sono i rappresentanti di un pensiero di gruppo, una dissociazione deve forzatamente prodursi in certi momenti tra l’essere sociale che pensa sotto la legge del gruppo e l’individuo indipendente che ha conservato in parte o che ricupera momentaneamente la sua libertà di giudizio e si burla nel fondo di se stesso dell’opinione che si crede tenuto a ostentare in quanto essere sociale.
Le mitologie sociali delle quali si è parlato hanno un carattere astratto e molto generale. Ma la maggior parte delle menzogne di gruppo servono un interesse di gruppo preciso e ben determinato. Tale è il caso della menzogna di gruppo messa in scena da Ibsen nel suo Un nemico del popolo. Si è qui in presenza di una consorteria e presto di tutta una città che sostiene una menzogna rivelata e perfettamente cosciente.
Molte pratiche sociali, molti usi convenzionali implicano una menzogna sottintesa che bisogna riverire, pena incorrere nelle sanzioni del gruppo. Vigny durante il suo ricevimento nell’Accademia si attira l’inimicizia dei suoi colleghi nel rifiutarsi all’uso che voleva il nuovo eletto pronunciasse il panegirico del re. In ogni gruppo ci sono delle parole d’ordine date, dei giudizi già fatti sulle persone e sulle cose. Una certa insincerità collettiva è la base di ogni spirito di corpo. Coloro che sono animati da questo spirito hanno una predilezione per certi oggetti e per certe qualità che possiedono o sono reputati possedere i membri del gruppo.
E si intendono per un tacito patto per accrescere e in caso di bisogno di sovrastimare nel mondo con l’importanza di tali qualità l’importanza di colui che le possiede. Chi, tra quelli del gruppo, non accetta questa solidarietà, chi non attribuisce l’opportuna importanza alle qualità o caratteri posseduti in comune è tenuto per fellone ed esposto all’ostilità di tutti gli altri. Qui è evidente la parte giocata dall’illusione sincera ma anche dalla menzogna di gruppo. Essa appare in massime come questa: «non bisogna mai rivelare gli sbagli di un collega».
Ecco dei fatti che sembrano ben attestare l’esistenza della menzogna di gruppo. Ora, quale interpretazione conviene dare di ciò?
Sull’origine e la natura delle credenze collettive, sono state sostenute diverse opinioni. Alcuni, come Hobbes e Machiavelli, gli attribuiscono un’origine puramente artificiale e convenzionale. Esse sono delle menzogne fabbricate di sana pianta dai preti, dai re, dai capi del gruppo, per ingannare le folle. L’umanità si divide così in conduttori e condotti, in ingannatori e ingannati (Si può avvicinare a questa opinione quella di Voltaire che indica l’impostura dei preti come origine delle religioni).
Seguendo Durkheim, niente è artificiale, niente è truccato nella vita sociale. Ogni istituzione, ogni credenza è un prodotto naturale delle condizioni d’esistenza sociali in un dato momento, in un dato ambiente. Essendo un prodotto naturale e spontaneo dell’ambiente sociale, una credenza collettiva è forzatamente sincera e veridica. Durkheim intende rendere innocente la società dal rimprovero di astuzia. L’individuo si può fidare di essa, abbandonasi ingenuamente alle sue suggestioni. «Se c’è una verità che la sociologia ha fermamente stabilito, è che la società ha sull’individuo una superiorità che non è semplicemente fisica ma intellettuale e morale, che essa non ha nulla da temere dal libero esame, purché ne sia fatto un giusto impiego» (in Règles de la méthode sociologique). La disciplina sociale nel suo insieme – comprese le credenze sociali – è «fondata in ragione e verità».
Secondo noi, queste due opinioni sono esagerate. È andare troppo lontano sostenere – con Hobbes e Machiavelli – che all’origine delle credenze sociali tutto è calcolo, impostura, soperchieria. E converrebbe forse fare qui una distinzione tra le società primitive e le società molto evolute come le nostre. Nell’umanità primitiva l’immaginazione regna da maestra e il suo potere di illusione è al suo massimo. D’altra parte il bisogno di credere è molto grande e non è combattuto dallo spirito critico che non ha ancora fatto la sua apparizione. Per questo è probabile che i primi promotori delle credenze collettive non siano stati degli impostori e fossero essi i primi ad aver fede nelle credenze che mettevano in circolazione. Ugualmente, i gruppi accettarono in buona fede le credenze che erano suggerite loro.
Per quell’epoca non si può parlare di menzogna di gruppo. Ma nelle nostre società molto evolute non è più così. Lo spirito critico è sempre più diffuso, sempre più esigente in fatto di prove. Gli individui non accettano più, ad occhi chiusi, le nozioni che gli si propongono. Tra coloro che accettano le idee ammesse nel loro gruppo sanno nella maggior parte dei casi in quale conto tenere il valore di queste idee. Sanno che il vicino non è più sincero di lui e tutti hanno coscienza del mutuo inganno sul quale posano le idee e le credenze convenzionali. I promotori di nuovi ideali non sono più sinceri dei partigiani degli ideali antichi. Tutti non hanno in fondo che una fede: la fede nell’utilità dei simulacri e delle false apparenze. Ciò che si chiama oggi pragmatismo non è che una teoria e un’apologia dell’utile menzogna. Perché il pragmatismo consiste nel presentare le idee socialmente utili non come utili, ma come vere.
Il pragmatismo è l’utile che prende il travestimento del vero per meglio imporsi agli spiriti; è l’utilizzazione della forza dell’illusione inclusa nell’idea di verità. Questa è trattata come un mito utile, come una macchina da guerra al servizio di una causa o di un interesse di gruppo; si può citare come esempio di tattica pragmatica quella di Georges Sorel che raccomanda l’idea di sciopero generale come un mito utile per esaltare le energie rivoluzionarie del proletariato.
La teoria di Hobbes e di Machiavelli è esatta solo in parte. Ma essa è esatta in gran parte. Essa non si applica alle società primitive nelle quali la parte della menzogna concertata e cosciente è verosimilmente molto debole. Ma essa si applica bene alle società evolute. Queste sembrano in effetti proprio essere un «marchingegno», una combinazione di menzogne di gruppo la cui origine deve essere cercata in parte nelle menzogne individuali che si sono propagate e generalizzate nei gruppi; in parte nel bisogno naturale che hanno gli uomini vivendo in società di fabbricarsi delle menzogne sociali e di ingannarsi gli uni con gli altri.
L’argomento invocato da Durkheim contro la teoria di Hobbes e di Machiavelli non ci sembra convincente. Durkheim rimprovera alla teoria della menzogna sociale di contraddirsi nel rappresentare l’individuo che si inganna da se stesso benevolmente. «Né Hobbes, né Rousseau – dice in “Le regole del metodo sociologico” – sembrano aver percepito tutto ciò che c’è di contraddittorio nell’ammettere che l’individuo sia egli stesso l’autore di una macchina che ha per ruolo essenziale di dominarli e di costringerli».
Se c’è contraddizione, rispondiamo noi, questa contraddizione è nella nostra stessa contraddizione mentale; nella dualità del nostro essere e nell’antagonismo che mette alle prese in noi due animi opposti: l’animo sociale e l’animo individuale. Noi non siamo degli esseri logici e tutti d’un pezzo. Nella misura in cui noi siamo socializzati, abbiamo una tendenza a piegarci alle menzogne sociali e a farcene i complici più o meno attivi e zelanti. Nella misura in cui noi non siamo socializzati e rimaniamo refrattari alla vita sociale, ripugniamo queste menzogne e insorgiamo contro di esse.
Durkheim dichiara la menzogna di gruppo impossibile e inesistente per la ragione che le credenze collettive, essendo un prodotto spontaneo di un certo ambiente sociale, sono per ciò stesso naturali e veridiche. Ciò non è evidente. «Naturale» o «necessario» non vogliono dire per forza «veridiche». Quando un uomo mente al suo vicino (menzogna da individuo a individuo o menzogna individuale), questa menzogna ha certo le sue condizioni d’esistenza.
Rientra evidentemente nel determinismo universale – e in un determinismo particolare che è il sistema di interesse e di desiderio proprio all’autore della menzogna – il fatto di essere determinato per l’insieme delle condizioni naturali e necessarie non impedisce a questa menzogna di essere una menzogna e colui che mente si ha ragione nel definirlo mentitore. È lo stesso per la menzogna di gruppo. Il fatto di essere determinata per un insieme dato di condizioni sociali non trasforma la menzogna di gruppo in una credenza veridica e sincera. E l’individuo ha ragione di diffidare del gruppo mentitore.
L’individualismo è precisamente questa attitudine di diffidenza dell’individuo nei confronti della società. Ma noi distinguiamo, qui come altrove, due varietà di individualismo.
L’individuo può rifiutarsi alla menzogna del gruppo per semplice egoismo antisociale; per dare soddisfazione ai suoi istinti antisociali; per il piacere di distinguersi dal branco docile ed esercitare su delle convenzioni ipocrite e imbarazzanti la sua lungimiranza ironica. Questo è un individualismo tutto negativo, amorale e stirneriano. L’individuo può anche insorgere contro queste menzogne in nome di un ideale di sociabilità superiore; per desiderio di una società più rischiarata, più sincera e più vera. Tale è il caso del Dr Stockmann, il Nemico del popolo, di Ibsen. Tale è il caso di de Vigny che denuncia la menzogna sociale in nome di un ideale di verità e di sincerità.
Quest’ultimo individualismo non è puramente negativo e distruttivo; non nega la società, desidera migliorarla ed elevarla moralmente. Ma questo desiderio morale non si realizza mai se non molto imperfettamente. L’idealista che aspira a una società più sincera e più vera si accorge presto che la nuova società alla quale aspira e all’avvento della quale forse lavora, s’accorge che questa società porta già in sé il germe logico e necessario di menzogne nuove che rimpiazzeranno le menzogne vecchie e smorte, che ogni regime politico e sociale è mentitore per essenza (Vigny), che il mutuo inganno è la legge di tutte le società e che la menzogna di gruppo non fa che cambiare forma.
[Testo originale in: Les antinomies entre l’individu et la société, Parigi, Alcan, 1913 – * Traduzione 2016 © Fabrizio Pinna (contatto su Twitter: @effepi70) – Diritti riservati]
(**) Tratto da Georges Palante, Individualismo e libertà: contro i dogmatismi sociali, la liberazione dell’individuo, a cura di Fabrizio Pinna, Pieffe Edizioni, (in preparazione)