Giovanni Vidari: Individualismo e Anarchia

Opera di Man Ray
Nella foto: Noire et blanche di Man Ray (1926)

GIOVANNI VIDARI Individualismo. In economia individualismo è la dottrina che vede nell’homo oeconomicus il produttore della ricchezza, e nel suo interesse egoistico il principio onde il valore è giudicato. Su tale concetto, che prescinde dal considerare i rapporti onde l’individuo è legato agli altri nella costituzione sociale, o che, almeno, interpreta questi rapporti dal punto di vista degl’interessi individuali, si è fondata una dottrina politica e una morale. Una simile dottrina è stata svolta principalmente da alcuni pensatori inglesi, quali Adamo Smith, D. Hume, Geremia Bentham, J. Stuart Mill, i quali però si sono sempre trovati innanzi al problema di dimostrare come gl’interessi e i motivi individuali ed egoistici della condotta economica si accordino e si compongano nella vita sociale, nella costituzione dello stato, nella produzione della moralità e della civiltà.

In politica individualismo è la dottrina che concepisce la società come la coesistenza degl’individui operanti ciascuno secondo proprî criterî, e lo stato come l’organizzazione degli stessi col semplice fine di garantire le attività nei loro reciproci rapporti, sì che esse non si ledano mutuamente: nel che è fatta consistere la giustizia, e per il che è necessario allo stato l’ausilio della forza. Nell’individualismo politico, come nell’economico, si presuppone sempre che l’individuo sia il migliore giudice dei proprî interessi, e che questi stessi, bene intesi, gli forniscano l’idea del proprio diritto e la norma della condotta; onde un’armonia naturale si postula come realizzantesi fra gl’interessi individuali. Da tali premesse discendono tutte le deduzioni teoriche quali appaiono in modo eminente nelle opere di B. Constant e di J. Stuart Mill, che possono considerarsi come i veri teorici dell’individualismo politico.

Poiché l’individualismo politico considera la libertà degl’individui come la condizione fondamentale per cui il maggior bene e il maggior sviluppo dell’individuo può essere conseguito, sotto tale aspetto l’individualismo è stato accostato, se non confuso, con il liberalismo. Ma in verità per liberalismo va intesa quella dottrina che ripone, non nell’interesse individuale l’unico principio motore della condotta, ma nella libertà intesa come autonomia o capacità di governarsi da sé secondo una legge, in cui sta la vera essenza della persona e dignità umana. L’individualismo è liberale, ma il liberalismo non è per necessità individualistico.

Si è parlato anche di un individualismo religioso, intendendosi per esso quella teoria che riduce l’essenza della religione a un elemento non solo soggettivo come può essere la fede, ma veramente individuale come il sentimento, cioè a quella speciale commozione dell’animo che fu detta il senso dell’infinito o della dipendenza assoluta, ecc. (F. D. E. Schleiermacher, B. Constant).

Si è parlato infine di un individualismo storico, intendendosi per esso quella concezione che spiega il processo della storia con l’azione di alcune grandi individualità, dette eroi o genî (H. Taine, Th. Carlyle, R. W. Emerson).

Da tutto questo si vede come al fondo di ogni dottrina individualistica sta un concetto dell’uomo come essere morale, ed è quindi su questa base che si deve fare un’analisi delle dottrine. Distinguiamo tre specie principali di dottrine dell’individualismo morale: quelle che poggiano sul concetto empirico, ma sensistico ed edonistico, dell’individuo (G. Bentham); quelle che poggiano sul concetto empirico, ma attivistico o istintivistico, dell’individuo; quelle che poggiano sul concetto spiritualistico (variamente inteso) dell’individuo. Nel primo caso si dice: l’uomo è essenzialmente un essere che si muove sotto lo stimolo del piacere e del dolore e non mira se non all’acquisto del massimo piacere o anche, secondo il Mill, del migliore piacere, il quale include il massimo sviluppo dell’individuo stesso, e si serve all’uopo del suo intelletto per la determinazione della condotta più acconcia. Nel secondo caso si dice: l’uomo è essenzialmente un essere che si muove sotto l’impulso di alcuni motivi fondamentali (l’istinto, detto anche da alcuni volontà della potenza, oppure l’amore altruistico o carità), e non realizza sé stesso se non nella libera espressione di tali istinti o poteri ed energie primordiali. Nel terzo caso si dice: l’uomo è essenzialmente un essere spirituale, cioè un essere che trova nel pensiero di una legge universale la guida della propria condotta, e realizza, in tale osservanza, la propria dignità o il proprio valore di persona. Il primo di tali concetti, che ha avuto largo e vario sviluppo nel sec. XIX, da G. Bentham a H. Spencer, dà origine di solito a un individualismo, che si può dire democratico, in quanto vede nella libertà e uguaglianza giuridica delle attività individuali la condizione fondamentale del loro svolgersi; il secondo, che fu presentato in forme e con deduzioni diverse da F. Nietzsche, da M. Stirner, da S. A. Kierkegaard, da L. Tolstoi, può dare origine a un individualismo democratico o aristocratico, a seconda degl’impulsi o filantropici o egoistici e imperialistici, che si mettono a base dell’attività individuale; il terzo infine, che si può dire risalga, come a suo massimo maestro, al Kant, può dare origine anch’esso a deduzioni diverse a seconda che si accentui di più il lato universalistico della legge (J. G. Fichte) o quello individualistico della persona (Ch. Renouvier). Ma essa di tutte e tre le forme è quella che meglio può comporre in una sintesi dialettica i termini opposti fra i quali oscilla la concezione dell’uomo. L’esasperazione del principio individualistico fino al disconoscimento del principio opposto dell’interesse generale o dello stato o della legge dà origine alle dottrine anarchiche (v. anarchia). D’altra parte la necessità dottrinale e pratica di evitare le conseguenze estreme dell’individualismo porta a varie attenuazioni più o meno logiche di esso, come in J. Stuart Mill che modifica il criterio del maggiore piacere con quello del migliore piacere e il criterio dell’utile con quello del progresso; nello Spencer che subordina il principio edonistico e utilitario alle leggi dell’evoluzione; nel Nietzsche, che conserva accanto alla morale del superuomo quella del gregge; e in parecchi pensatori francesi (E. Durkheim, L. Bourgeois) che correggono il principio individualistico con quello della solidarietà.


Anarchia (dal gr. ἀ[ν] privativo, ἀρχή “signoria, governo”; fr. anarchie; sp. anarquia; ted. Anarchie; ingl. anarchy). – È termine diventato di largo uso nel linguaggio filosofico e politico della seconda metà del secolo decimonono. Stando al significato etimologico della parola (dalla quale sono pure derivati i termini di: anarchico, anarchismo, anarchista), con essa si vuole esprimere, nei rapporti tanto dell’individuo quanto della società, la mancanza assoluta di governo da parte di un potere estraneo e superiore all’uno e all’altra, epperò la libertà assoluta dell’individuo nel dispiegamento della sua attività ed energia, e della società nella costituzione de’ rapporti e dei suoi istituti. Un concetto di tale natura può sorgere, e sorse in fatti, sulla base di presupposti filosofici diversi: il presupposto sensista-egoistico, il presupposto razionalista-libertario, il presupposto istintivista o volontarista. Infatti si può ragionare così: se il movente fondamentale della vita umana è la ricerca del piacere sulla base delle sensazioni, le quali sono la vera fonte della conoscenza, e se, di conseguenza, soltanto l’individuo può essere giudice competente del proprio maggiore, o anche migliore, piacere, e, sia pure con l’aiuto dell’esperienza ereditata dagli avi e dell’esperienza altrui, giudice anche dei mezzi più acconci per il conseguimento del proprio piacere e della propria felicità, ne viene che qualunque intervento il quale, col pretesto di assicurare la felicità medesima, alteri il criterio o limiti o costringa l’attività dell’individuo, è ingiustificato, e che invece è giustificata la massima libertà di ogni individuo nella conquista dei proprî beni. Quanto poi alla coesistenza degli individui e dei loro fini e delle loro singole attività nella vita sociale, essa poggia sulla natura medesima degl’interessi individuali che, venendo in rapporto fra di loro, si accordano naturalmente sulla base di un calcolo delle maggiori utilità.

Oppure si può ragionare in quest’altro modo: se l’essenza spirituale dell’uomo sta nell’esercizio della ragione, cioè del potere di formulare principî universali e di ridurre sotto di essi tutti i principî particolari e individuali, e se la volontà, o il potere pratico dell’uomo, trova appunto in quell’esercizio della ragione il suo criterio direttivo supremo e il suo motivo veramente umano; se, in altre parole, la facoltà di dare leggi a sé stesso, e di darsele, quindi, liberamente, è la vera caratteristica dell’umanità, si deduce che ogni uomo ha diritto di essere lasciato all’assoluto e puro governo di sé stesso, e che ogni intervento straniero rivolto a imporgli leggi o a disconoscere o diminuire in lui l’autonomia è ingiustificato, e che insomma l’assoluta libertà degl’individui è la condizione fondamentale della realizzazione dell’umanità.

E infine si può anche ragionare così: se la radice dell’attività umana, o teoretica o pratica, è negl’istinti profondi che portano l’uomo o verso l’amore o verso la scienza o verso la potenza, ed essi, poi, per il loro stesso impeto nativo, riescono a conquistarsi i mezzi e ad aprirsi la via per il proprio soddisfacimento, e se ogni individuo, come fascio di energie attive, è incomparabile con ogni altro, perché le tendenze e gl’impulsi suoi hanno nella sua precisa costituzione la propria radice, e sono tanto più produttori di vita, quanto più rivelano tale individualità, ogni inquadramento di individui entro schemi fissi e sotto poteri e leggi di organizzazione è, per un lato, offensivo del diritto primordiale dell’individuo stesso, per un altro, compressivo e soffocatore dell’unica vera e inestinguibile fonte di vita, che è appunto l’individuo.

Ma è evidente che nel primo concetto s’annida un duplice errore fondamentale, di concepire la sensazione come unica origine della conoscenza, e la ricerca del piacere come unico motivo della condotta; che nel secondo vi è pure l’errore fondamentale di fare della ragione astratta il principio motore della condotta morale con esclusione di ogni sentimento disinteressato, e dell’individuo isolato la vera e unica realtà; che nel terzo s’annida il duplice errore, di ridurre l’umanità all’irrazionalità e cecità dell’istinto e tuttavia di considerare questo come divino nella sua essenza.

Le tre vie filosofiche diverse, che qui abbiamo esposte e riassunte in maniera, per necessità, un po’ schematica, furono, in realtà, percorse da varî pensatori tra la fine del secolo decimottavo e la fine del decimonono, dando origine, così, alle diverse dottrine anarchiche. Quantunque i germi di esse si possano, per avventura, rintracciare in talune proposizioni di J. J. Rousseau (Discours sur l’origine et les fondements de l’inégalité parmi les hommes, 1752; Contract social e Émile, 1762) e in alcuni filosofi tedeschi della sinistra hegeliana, quale il Feuerbach e, meglio, nei socialisti francesi quali Saint-Simon e Fourier, e nella dottrina individualista dello Spencer; pure è certo che dottrine o teorie dell’anarchismo, inteso principalmente ne’ suoi rapporti con la politica e con l’economia, che furono quelli dai quali più venne di rinomanza e di efficacia spirituale e pratica all’anarchia, non si trovano che a cominciare dalla metà circa del sec. XIX, mescolate, spesso, con elementi di dottrine socialistiche, dalle quali però esse si sforzano di liberarsi. A prescindere da quel William Godwin, che nell’opera An enquiry concerning political justice and its influence on general virtue and happiness (Londra 1793) concludeva che non si può, senza offendere la libertà individuale di coscienza, attribuire allo stato né una funzione legislativa né una esecutiva, e che pertanto si deve lavorare alla dissoluzione del governo politico, più ampî sviluppi della dottrina, su basi o sensistiche o razionali o volontaristiche, si trovano in pensatori francesi, tedeschi e russi. In P. J. Proudhon (1809-1865) si suole indicare uno dei primi teorici dell’anarchia, principalmente per le sue opere: Qu’est-ce que la propriété (1840), e La justice dans la Révolution et dans l’Èglise (1858); e infatti si trovano in esse critiche acute delle istituzioni economiche giuridiche e religiose, e proposizioni come queste: “anarchia, assenza di padrone, di sovrano, tale è la forma di governo a cui noi ci avviciniamo ogni giorno” o come quest’altra: “l’uomo solo ha il diritto di giudicarsi; la giustizia è un atto della coscienza, essenzialmente volontario: ora la coscienza non può essere giudicata, condannata o assolta che da sé stessa”; “l’anarchia temuta come flagello, sia infine accettata come un beneficio”; ed egli pronosticava, come effetto della rivoluzione, una società, non più retta da sovrani, da leggi, da magistrati, da governi, bensì da liberi patti tra le categorie dei produttori, dalla identità riconosciuta degli interessi.

Ma va più a fondo nella critica dei principî filosofici e delle istituzioni onde è organizzata la società civile, ed è più chiaro e coerente nelle sue costruzioni teoretiche, un altro pensatore, Max Stirner (pseudonimo di J. K. Schmidt: 1806-1856), che per la sua opera (v. bibl.) può considerarsi il vero filosofo dell’anarchismo. Sulle basi di una critica accanita di tutte le idealità sociali, morali e religiose, che si riassumono nel pensiero cristiano e nelle sue derivazioni filosofiche, lo Stirner erige il suo pensiero, che è la rivendicazione dell’individuo nella nudità e assolutezza del suo egoismo, il quale è, a sua volta, inteso come pregnante di tutti i beni che la storia ha conquistati, e che l’individuo, unica realtà, unifica nella forza imperiosa e direttiva del proprio istintivo volere: al di fuori o al di sopra di esso non vi è nulla di reale o di autorevole; e il suo diritto si estende tanto quanto il suo potere: “la mia potenza è la mia proprietà”. Quindi nessun ideale, nessuna legge, nessun vincolo si propone o s’impone all’Unico, e la società non può essere che l’accostamento degli egoismi, ciascuno dei quali l’accetta in quanto trovi in essa l’accrescimento di sé stesso, della propria potenza e gioia. La negazione anarchica delle istituzioni e leggi morali, giuridiche, politiche, economiche, religiose, è qui portata all’estremo, e dedotta logicamente dalle premesse fondamentali dell’individualismo assoluto, costruito sulla base del realismo istintivista. Con una diversa interpretazione della natura individuale, ma ad ogni modo sempre facendo assegnamento sopra istinti primordiali e sui relativi bisogni di soddisfacimento, hanno svolto teorie anarchiche alcuni pensatori e agitatori russi come Michele Bakunin (1814-1876), Pietro Kropotkin (1842[-1921]), Leone Tolstoj (1814-1910). Il Bakunin, formatosi in giovinezza negli studî del Fichte e del Hegel, passato poi alla filosofia positiva di A. Comte, ha esposto nei suoi numerosi scritti, più che una dottrina dell’anarchismo, una serie di riflessioni tra filosofiche, sociologiche e politiche, nelle quali residui razionalistici ed elementi materialistici si trovano accostati più che rifusi. Il concetto fondamentale rimane sempre la negazione del “principio fatale e maledetto” dell’autorità tanto umana come divina, tanto dello Stato e della Chiesa quanto di Dio e della Provvidenza, e la riaffermazione della solidarietà naturale che lega tutti gli uomini nel soddisfacimento dei loro bisogni. “Distruggete tutte le istituzioni della disuguaglianza: fondate l’uguaglianza economica e sociale di tutti, e sopra questa base si eleverà la libertà, la moralità, l’umanità solidale di tutti”. Il Bakunin rimane, in fondo, un credente in quei medesimi principî di dignità umana, di fratellanza, di giustizia, che deride e disprezza quando li vede pronunciati dall’alto di una cattedra, di un trono o di un altare; ma li ammette come risultati possibili soltanto in una costituzione anarchica, nella quale la libertà degl’individui, come sorgente e condizione assoluta di ogni bene, e la libera federazione degl’individui, delle associazioni, dei comuni, dei distretti, delle provincie e delle nazioni siano realizzate. Il Kropotkin, altro emigrato dell’alta aristocrazia russa, che andò con la parola e con gli scritti numerosi predicando l’anarchia nelle varie nazioni d’Europa, si era formato, anziché negli studî filosofici, in quelli scientifici, principalmente di geografia e di scienze naturali; e portò nella sua concezione quell’impronta originaria, perché, secondo lui, la natura stessa insegna che tutto risulta dalla libera attività degli elementi individuali anche minimi, i quali da sé stessi, secondo le loro forze attrattive e i loro bisogni, si organizzano. Il Tolstoi, invece, non partiva né da premesse filosofiche né da proposizioni scientifiche, ma dall’intuizione religiosa o, anzi, mistica dell’amore, come principio fondamentale ed essenziale dell’uomo, che solo può originare “la vera vita”. A vivere moralmente basta l’amore, e all’anima che vive d’amore nessuna limitazione, nessuna legge può esser posta, né di Chiesa né di Stato, né di esercito né di tribunale né di sacerdozio. È un anarchismo più morale che politico ed economico, più ascetico-mistico che filosofico; ma non fu senza efficacia nella diffusione e nella pratica delle idee anarchiche.

Le quali, infatti, penetrando nel campo dell’azione diedero origine, specialmente nei cervelli più facili ad esaltarsi e nei cuori meno generosi, a moti rivoluzionarî in varî stati d’Europa e d’America, rivolti a rovesciare i governi costituiti, e a fatti di sangue rivolti a sopprimere i capi degli stati. Preceduti e accompagnati da un’attiva propaganda fatta negli ultimi tre decennî del sec. XIX per mezzo di libri e opuscoli, di giornali e di riviste (ricordiamo: L’avant-garde di Bakunin, Chaux-de-Fonds 1878; Le révolté, Ginevra 1879; La révolte, Parigi 1886, di Kropotkin; Freedom, Parigi 1886, pure del Kropotkin; Liberty, fondato a Boston nel 1881 da B. T. Tucker; Die Freiheit, fondato a Londra nel 1880 dal tedesco G. G. Most); suscitati e quasi giustificati dai Congressi anarchici (ricordiamo: Albany 1878; Alleghany City 1879; Saint-Imier 1872; Berna 1876; Friburgo 1878; Londra 1881; Ginevra 1882; Capolago 1891, con intervento degl’italiani Malatesta, Saverio Merlino e Amilcare Cipriani; Chicago 1893; Londra 1896), i moti rivoluzionarî e i fatti di sangue si succedettero in quasi tutti gli stati d’Europa e d’America. Ricordiamo: 1892, gli attentati del Ravachol in Francia e Spagna; poi, 3 dicembre 1893, l’attentato del Vaillant contro la Camera francese dei deputati; nel febbraio (12) e nell’aprile (4) del 1894, gli attentati del Henry contro gli alberghi e ristoranti francesi; la uccisione del presidente Carnot (Lione, 23 giugno 1894), compiuta dall’italiano Caserio; gli attentati spagnoli nel 1896 e l’uccisione del presidente Canovas del Castillo (8 agosto 1897); l’assassinio dell’imperatrice Elisabetta (10 settembre 1898) da parte del Luccheni; l’attentato del 1900 contro il principe di Galles; l’assassinio di re Umberto (29 luglio 1900) per opera del Bresci; l’assassinio del presidente Mc Kinley (Buffalo 1901) per mano del Czolgosz.

Contro tali nefandezze ed eccidî si promulgarono nei diversi stati leggi di difesa e di repressione, fra le quali ricorderemo la legge belga del 25 marzo 1891 per reprimere la provocazione a commettere crimini o delitti, la legge francese del 24 luglio 1894 contro le mene anarchiche, le leggi italiane 19 luglio 1894 e 17 luglio 1898, e la legge degli Stati Uniti 10 luglio 1902.

***Sono due scritti di Giovanni Vidari (1871-1934) apparsi come voci monografiche nell’«Enciclopedia Italiana di scienze, lettere ed arti» (nel Vol. 3: Ammo-Arbi, 1929; e nel Vol. 19: Indi-Ita, 1933; edizioni Treccani d’antan). Nello scritto “Individualismo” in pratica Vidari riassumeva un suo più ampio studio sull’argomento: Giovanni Vidari, L’individualismo nelle dottrine morali del sec. XIX, Milano, Ulrico Hoepli, 1909 (volume di XX-400 p., Opera premiata dalla Reale Accademia di scienze morali e politiche di Napoli). Nella breve bibliografia che chiude la voce dell’enciclopedia, tra i riferimenti indicati Vidari include anche il libro di Georges Palante, Combat pour l’individu (Paris, Félix Alcan, 1904); lo studio più recente citato nella bibliografia, un saggio incluso negli Ètudes de morale di Rauh, è datato 1911. Mettendo da parte ricerche di dettaglio che porterebbero via molto tempo, si può comunque notare che si tratta di testi evidentemente scritti anni prima della pubblicazione nell’Enciclopedia, come si può evincere — oltre che dai limiti cronologici dei riferimenti bibliografici — anche dal fatto che nella voce “Anarchia” non fosse indicata la data di morte di Kropotkin, avvenuta nel 1921; è possibile ipotizzare, in via di grossolana approssimazione, che la Grande guerra ne abbia ritardato la pubblicazione. Vidari, docente universitario (a Palermo, Pavia, etc.), filosofo e pedagogista, nel corso dei suoi studi si occupò soprattutto di etica e pedagogia, e del loro intreccio; curò un’edizione italiana delle opere principali – di argomento morale – di Kant proponendo, tra l’altro, anche la prima traduzione italiana della sua Antropologia prammatica (Torino, Paravia, 1921). Lo studio monografico più recente su di lui è quello di Caterina Provenzano, Giovanni Vidari. Dal criticismo neokantiano al progetto di civiltà, Rubettino, Soveria Mannelli (CZ), 2007. (effe)


Bibliografia Individualismo citata da Giovanni Vidari: V. Basch, L’individualisme anarchisteMax Stirner, Parigi 1904; L. Bourgeois, Solidarité, Parigi (s. a.); G. Calò, L’individualismo etico del sec. XIX, Napoli 1906; C. Fournière, Essai sur l’individualisme, Parigi 1901; F. Le Dantec, L’individualisme et l’erreur individualiste, Parigi 1898; A. L. Martinazzoli, La teoria dell’individualismo secondo John Stuarty Mill, Milano 1905; G. Palante, Combat pour l’individu, Parigi 1904; F. Rauh, Études de morale, III; Critique des théories morales, Parigi 1911; A. Schatz, L’individualisme économ. et social, Parigi 1907; P. R. Trojano, Le basi dell’umanismo, Torino 1907; G. Vidari, L’individualismo nelle dottr. mor. del sec. XIX, Milano 1909. Bibliografia sull’anarchia citata da Giovanni Vidari: M. Nettlau, Bibliographie de l’anarchie, Bruxelles 1897; E. Zoccoli, L’anarchia, Torino 1907; C. Lombroso, Gli anarchici, Torino 1894; G. Vidari, L’individualismo nelle dottrine morali del sec. XIX, Milano 1909; E. Sernicoli, Gli anarchici, Milano 1892; G. Weill, Histoire du mouvement social en France, Parigi 1924; Adler, A., in Handwörterbuch der Staatswissensch., 2ª ed., Iena 1900; V. E. Orlando, A., in Enciclopedia giuridica italiana, Milano 1892; G. Mosca, Elementi di scienza politica, Roma 1896; V. Basch, L’individualisme anarchiste, Parigi 1904. Opere d’anarchici: P. J. Proudhon, Œuvres, 1868-76, voll. 33; M. Bakounine, Œuvres, Parigi 1895-1913, voll. 6; P. Kropotkine, L’anarchie, sa philosophie son idéal, 3ª ed., Parigi 1904; id., La conquête du pain, 8ª ed., Parigi 1904; J. H. Mackay, Les anarchistes, Parigi 1904; É. Reclus, L’évolution, la révolution et l’idéal anarchique, 2ª ed., Parigi 1904; M. Stirner, Der Einzige und sein Eigentum, Lipsia 1845 (traduz. ital., Torino 1902); L. Tolstoï, Paroles d’un homme libre, Parigi 1901; id., La vera vita, Milano 1902; J. Grave, L’anarchie, l’individu et la société. La société mourante et l’anarchie, Parigi 1893; Ch. Malato, De la Commune à l’anarchie, Parigi 1894 e Philosophie de l’anarchie, Parigi 1897; A. Lorulot, Les théories anarchistes, Parigi 1913.

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