Edmondo De Amicis: L’amore dei libri

EDMONDO DE AMICIS – Un tale, tempo fa, scrisse contro la pessima abitudine di moltissimi italiani, i quali benché siano dediti alla lettura e possano spendere, non comprano mai un libro. Le cagioni di quest’abitudine di non comprare, o meglio, di questa mancanza dell’abitudine di comprare, son molte; ma le principali mi paion queste: che la libreria non è ancora considerata come un mobile necessario al decoro della casa, che il libro non è ancora capito come oggetto d’ornamento, che si ama la lettura, infine, ma che non si ama ancora il libro.

Io credo infatti che di tutti i mobili quello che si vende meno in Italia sia lo scaffale. Moltissimi non capiscono in nessuna maniera come e perché si abbia da conservare un libro dopo che si è letto. Ogni momento, dai librai, occorre di sentir dire a qualcuno: — leggerei volontieri questo libro. — Gli domandano perché non lo compra. — Perché non lo compro? — risponde l’interrogato. — E che vuol che ne faccia quando l’abbia letto? — Per costoro un libro letto non essendo più che un ingombro, hanno ragione di non voler spender denari per empirsi la casa di carta sudicia.

Entrate nelle case. Nella maggior parte vedete delle raccolte di conchiglie, d’uova, di pietruzze, di francobolli esteri, persino di scatoline di fiammiferi; ma non ci vedete una raccolta di libri. In ogni parte c’è qualche cosa che vi rammenta che la famiglia mangia, gioca, dorme, suona; nulla che vi rammenti che legge. È gala se vedete sparsi qua e là pei tavolini e pei cassetti una ventina di volumi, un terzo dei quali appartengono al ragazzo che va a scuola e quattro o cinque a un gabinetto di lettura. I pochi che rimangono, — la sola proprietà libraria della casa, — son laceri e scuciti e hanno i primi fogli coperti di cifre e di fantocci. Se ne servono per smorzare la candela, per accendere il fuoco, per fornire di carta le parti della casa dove è bene che ci sia sempre carta. — Perché stracciate questo libro? domandate. — Oh bella! — rispondono — se l’abbiamo già letto e riletto tutti!

Una casa senza libreria è una casa senza dignità, — ha qualcosa della locanda, — è come una città senza librai, — un villaggio senza scuole, — una lettera senza ortografia. Quanto è bella una biblioteca! Quante cose ci vede e quanto piacere ne può ricavare anche chi legge per puro spasso, se appena ha un po’ di sentimento e d’immaginazione! I più mirabili frutti dell’ingegno umano son qui, raccolti in un piccolo spazio, sotto la mia mano. Frutti d’ispirazioni divine, frutti di meditazioni e di studi che segnarono di rughe precoci le più nobili fronti umane, frutti delle più splendide fantasie dell’universo, son qui ridotti nella forma di piccoli parallelepipedi, imprigionati fra quattro assicelle, divisi per tempi, per paese, per lingua, per materia, per dignità, numerati e schierati come un esercito. Uno scompartimento mi apre i secoli passati, un altro mi trasporta nei paesi lontani, questo mi tocca il cuore, quello mi stimola la vena del riso, un terzo mi fa sognare, un quarto mi fa pensare e un quinto mi fa piangere. Io posso scegliere secondo il mio umore; è una farmacia morale; vi sono gli scompartimenti per i giorni foschi, quelli per i giorni sereni, quelli per i giorni di fiaccona, quelli per i giorni in cui mi piglia la furia del lavoro.

E alla varietà delle materie corrisponde la varietà degli aspetti. Vi sono i colossi, — vocabolari e grandi opere illustrate, — che formano quasi l’ossatura di questo piccolo mondo. Vi sono file compatte di volumi tarchiati, di color oscuro, — vecchie edizioni economiche di opere classiche, — modeste all’aspetto, ma piene di vital nutrimento, come nel mondo reale gli uomini di vero merito. Sotto questi, l’aristocrazia delle legature, la classe privilegiata della biblioteca, rivestita di pelli luccicanti e rabescata di fregi d’oro. Poi la gioventù elegante e gaia: il roseo del Lemonnier, il turchinetto del Barbera, il rosso aranciato dell’Hachette, il giallo chiaro del Levy, cento colori di cento edizioni civettuole, che fanno a chi più tira gli sguardi. Poi daccapo lunghe file di volumetti uniformi e poveri, che sono come il popolo minuto della biblioteca, guardato con indifferenza e trattato con pochi riguardi. Più sotto le edizioncine diamante, genterella irrequieta, che va e viene dalla città alla campagna, per strada ferrata e in carrozza, dalla tasca alla valigia, dalla valigia al tavolino da notte, e si contenta dei ritagli della nostra giornata.

In questa folla abbiamo le nostre simpatie, i vecchi amici, gli amici di ieri, i maestri, i benefattori, i cattivi consiglieri, i capi scarichi, le anime perdute, i rigoristi, i seccanti, i buffoni, i parassiti, i predicatori, i mettimale, i consolatori. E in fondo finalmente, al pian terreno, quattro dita sopra il pavimento, il cimitero, dove sono ammontati alla rinfusa, sbrandellati e coperti di polvere, libretti ed opuscoletti d’ogni forma e d’ogni colore, che vissero un giorno od un’ora nella nostra mente: stravizi dello spirito, come dice il Guerrazzi; segatura dell’ingegno umano: poesie di nozze, primi saggi di poeti falliti, romanzi rachitici, almanacchi, libelli, imitazioni, plagi, capricci, corbellerie, cenci e cocci della letteratura, destinati al banco del tabaccaio o alla cesta dello spazzino.

L’amore dei libri, crescendo a poco a poco, finisce poi col diventare un sentimento affatto distinto dall’amore della lettura, e fonte, per sé solo, di mille piaceri vivissimi, piaceri della vista, del tatto, dell’odorato. Certi libri, si gode a palparli, a lisciarli, a sfogliarli, a fiutarli. L’odore della stampa fresca dà dei fremiti di voluttà. A occhi chiusi, fiutando, si riconosce se un libro è antico, o soltanto vecchio, o recente, o recentissimo. Certi colorini di certe edizioni innamorano, e s’incapriccisce per certi sesti e certi frontispizî, come per certi corpicini e certi visetti. Si prova veramente per i libri piccoli e graziosi un sentimento di sollecitudine più gentile, che pei libri grossi, e a sollevare con uno sforzo certi libroni si ride d’una compiacenza che non saprei definire; ma che è tutt’altra da quella che si sente sollevando qualunque altro peso. Si gode disponendo i proprî libri in un nuovo ordine, che formi una nuova combinazione di colori; si lavora di mosaico; si fa ogni giorno un cambiamento; una biblioteca anche piccola da lavorare; c’è da colmare le lacune, da barattare le edizioni, da ricevere i nuovi venuti, da congedare quei che partono, da curare quei che soffrono, da ristorare quei che invecchiano, da far la corte a quei che splendono; è insomma un piccolo Stato da governare, nel quale si provano tutti i piaceri, tutti gli sconforti, tutte le invidie ed anche tutte le gloriole d’un piccolo re, che non potendo allargare i suoi confini quanto vorrebbe, si diverte e si consola rimestando continuamente quel po’ che possiede.

È un grande errore quello di credere che s’impari ugualmente dai libri che si possedono e da quelli che si pigliano a prestito. Un libro non fa tutto il pro che può fare se non è cosa nostra. Bisogna poter logorarselo, sottolinearselo, farvi dei punti d’esclamazione, piegare le pagine, segnarne i margini colle nostre unghie. Un libro che non fa che passarci per casa, non lascia traccia profonda. E poi, che differenza! Se lo avete in casa, lo leggete e lo rileggete appunto nei casi in cui siete meglio disposti a riceverne un’impressione viva ed utile, perchè ciò che vi fa cercar quella lettura piuttosto che un’altra, è una disposizione particolare dell’animo, la quale se doveste cercare il libro altrove, sarebbe forse già mutata prima che il libro fosse nelle vostre mani.

Quanto è grande l’efficacia d’una biblioteca sull’educazione dei ragazzi! Il destino di molti uomini dipese dall’esserci o non esserci stata una biblioteca nella loro casa paterna. L’aver avuto sotto mano, a tutte le ore del giorno, il modo di soddisfare le prime curiosità infantili, d’ingannare sfogliando libri la noia delle giornate piovose, gettò in molti cervelli i primi germi d’un amore allo studio che divenne col tempo passione ardente per la scienza e fecondò precocemente certe facoltà dell’ingegno che lo studio obbligato e circoscritto della scuola avrebbe lasciate inerti. E lasciando pure da parte i grandi effetti, è bene ispirare all’infanzia il culto dei libri, anche prima dell’amore della lettura. È ben per il bambino che ci sia un angolo della casa, dove è eretto quasi un altare allo studio e al sapere, al quale, senza comprenderne ancora la ragione, egli vede dai suoi parenti usar certe cure e testimoniare un certo rispetto; una stanza silenziosa, dove di tratto in tratto egli vede qualcuno immobile e serio; un luogo consacrato al pensiero come ce n’è uno consacrato alla mensa, uno al lavoro, uno al riposo. E da giovinetto, leggerà con un piacere particolare quei libri che gli son famigliari all’occhio fin dell’infanzia, che ha veduto mille volte ordinare, pulire, accarezzare dai suoi genitori; che avevano già per lui, ciascuno secondo la sua forma e il suo colore, un significato fantastico, prima che conoscesse l’alfabeto. Certo ci dev’essere una differenza tra il giovinetto che fin dai suoi primi anni ha veduto la sua famiglia conservare e rispettare religiosamente i libri, e quello che l’ha veduta vivere di brigantaggio librario e fare dei libri letti quello che si fa delle scarpe vecchie e degli abiti smessi.

E poi! che c’è che ravvivi più intimamente e più dolcemente nel cuore del figliuolo la famiglia o lontana o dispersa, i genitori morti, l’infanzia, l’affetto e le cure di cui fu circondato? I libri che portano il nome del padre, ch’egli stesso mise nelle sue mani, di cui parlò con lui, gli ricordano le sue letture predilette, i suoi giudizî, le sue opinioni, mille sfumature della sua indole. Su certi libri gli par di vedere, al lume della candela, chinarsi quegli occhiali luccicanti e quella barba bianca. Altri gli rammentano la famiglia seduta in cerchio, intenta alla lettura d’un solo; atteggiamenti di persone care, esclamazioni e risa allegre o singhiozzi mal soffocati delle sorelle piccine, che pure gli sarebbero già fuggiti dalla memoria da lungo tempo. Il figliuolo di chi amò i libri, amerà i libri, e non sarà mai un’anima affatto volgare quella in cui rimarrà questo culto. Ah! vediamo di formarci intorno per tempo questa corona d’amici muti e fedeli; fabbrichiamoci questa pacifica fortezza per ripararvici dentro nei giorni in cui saremo assaliti dai dolori della vita. Questi giorni vengono, e con essi il bisogno della solitudine e del silenzio. Sarà triste allora il non aver un angolo della casa dove poter rifugiarsi per tentar di dimenticare i vivi confortandosi coi morti!

*Edmondo De Amicis (1846-1908), L’amore dei libri, [in Id., Pagine sparse, Milano 1877, IV ed.]