Enrico Castelnuovo: La pagina eterna (monologo d’un letterato)

ENRICO CASTELNUOVO – Excelsior (era questo il nome di battaglia d’un giovine letterato) aveva scritto quella sera la sospirata parola fine a’ piedi dell’ultima facciata di un nuovo romanzo. E s’era messo poi a svolgere con mano convulsa i 475 foglietti del suo lavoro, ch’egli doveva trasmettere la mattina seguente ad un editore. Egli correva con l’occhio su quelle pagine che gli erano costate tanti mesi di fatiche e di veglie, s’arrestava alquanto sui punti più drammatici, ripeteva ad alta voce alcune frasi, e cercava d’indovinar l’effetto ch’esse produrrebbero nell’animo dei lettori. Intanto passavano le ore, il petrolio si abbassava nella lucerna, e quando Excelsior fu giunto al termine della sua revisione, erano già le due dopo mezzanotte. Egli alzò la testa dalle sue carte, fece puntello delle palme al mento, e rimase a lungo immobile, pensoso. A poco a poco una tristezza infinita gli si dipinse sul viso; egli balzò dalla sedia e si mise a passeggiar concitato su e giù per la stanza.

— E anche tu, — egli esclamò rivolgendo lo sguardo al manoscritto che giaceva sulla scrivania, — anche tu farai la fine dei tuoi fratelli maggiori. Uscirai nel mondo in mezzo a un mormorio lusinghiero; sarai salutato da alcuni articoli benevoli inspirati probabilmente dall’editore; mi procurerai la stretta di mano di qualche lettrice gentile;… e poi…. e poi troverai una sepoltura onorata negli scaffali delle biblioteche. Era dunque per questo ch’io ho tanto meditato, tanto studiato, nudrito con sì grande amore il fuoco sacro dell’ideale? Era per questo che ho assunto il pseudonimo di Excelsior? Meno male che la mia anima è meno orgogliosa del mio nome di guerra!
— C’è pur qualche cosa di tragico nel destino della maggior parte dei libri che passano come ombre davanti agli occhi del pubblico, e pare abbiano sul labbro il grido dei gladiatori romani: Ave, Caesar, morituri te salutant. Morituri! Sì, questa è la parola. Morituri! Ma non sono gladiatori, non lottano prima di morire. Che? Muojon di lattime.
— Ah se quei topi che si chiaman bibliotecari fosser gente di spirito, che salati epigrammi potrebbero fare di mano in mano che ricevono e registrano queste primizie! Dovrebb’esserci per esse una rubrica apposita, come c’è nello stato civile pei nati-morti. Che amara ironia per un libro trovarsi lì con la sua legatura fresca, con le sue carte ancora umide, col suo formato snello, elegante, col suo bel frontespizio che porta una data recentissima, trovarsi lì accanto ai volumi tarlati di qualche secolo addietro, e dover dire: io non ho che un anno, non ho che un mese, un giorno, forse, e son già morto e sepolto, mentre fra quei centenari ci son i giovani eterni, ci son gli immortali!
— C’è dunque fra i libri questa razza d’immortali, ci son questi privilegiati che traversano i secoli col fronte raggiante d’un’olimpica luce, questi amici, questi confortatori di tutte le generazioni?
— Oh se ci sono!

Excelsior diede un’occhiata alla sua biblioteca e non tardò a distinguere, tra la folla degli altri, i venti o trenta volumi di cui egli stesso svolgeva più frequentemente le pagine.

— E il segreto della vostra vitalità, — egli soggiunse riprendendo il suo monologo, — me lo sapreste rivelare? Fra i libri che non si leggono più da gran tempo non c’era nessuno che valesse quanto voi? Non ce ne sarà nessuno tra i libri che si scrivono oggi e non si leggeranno più di qui a un lustro? La fortuna, il caso c’entrerebbe anche nella gloria? O la celebrità è proprio figlia del merito? E s’è così, ond’è spirato il soffio che vi salva dalla putrefazione? Dalla mente o dal cuore? Dall’affanno o dalla gioia? Dall’amore o dall’odio? Dalla fede o dallo scetticismo? Dalla calma o della procella? Chi può dirlo? C’è forse una legge che governi a un sol modo tutti gli uomini, che faccia sbocciar nelle identiche condizioni il fiore del loro ingegno? L’uno trovò nell’intelletto profondo ciò che l’altro trovò nell’anima candida. Per l’uno furono fonte d’ispirazione i dolori provati, gli oltraggi sofferti, il desiderio della vendetta, lo sfregio dell’esiglio, il pungolo della fame; l’altro ha sentito spuntar l’ali alla sua fantasia in mezzo a una quiete profonda, nel santuario della casa, tra il cinguettìo allegro dei bimbi. L’uno si sentiva più grande nella preghiera, l’altro nel dubbio. L’uno aveva bisogno dell’austerità monastica e l’altro aveva bisogno della donna. Ma la donna non significava per tutti la stessa cosa. Era Beatrice, era Laura, ed era Fiammetta. Era la materia e lo spirito. Per molti la donna voleva dire le donne. Goethe e Byron non avrebbero saputo che fare dell’amore ideale che bastò alla musa del Petrarca. Attraverso le più disparate vicende, obbedendo ai più dissimili criteri d’arte, sconcertando i canoni di tutte le scuole, è nato il capolavoro, è nato il libro immortale….

Excelsior si fermò in mezzo della stanza con aria meditabonda, tacque per un momento, e poi come colto da un pensiero improvviso, soggiunse: — Il libro immortale! Non sarebbe più giusto di dire la pagina eterna? Sì, qui è la chiave di tutto. L’immortalità dei libri è spesso una pagina, una sola pagina che l’assicura. Può esser sorridente come il più bel raggio di sole, straziante come il grido d’una madre che ha perduto i suoi figli, calma come una notte serena, tempestosa come l’oceano in burrasca, soave come una musica lontana, violenta come un fiume che irrompe; può essere un inno o una bestemmia; non importa! in quella pagina l’autore ha lasciato una parte della sua anima, o meglio ancora, dell’anima dell’umanità. E quella pagina non muore e pel lungo corso dei secoli, quando un occhio intelligente la guarda, quando uno spirito capace di simpatia si ferma a meditarla, sembra che si rinnovelli il palpito che l’ha dettata, sembra che tra linea e linea ricompaja il sorriso, ricompaja la lagrima che cento e cento anni addietro un uomo ha saputo incarnare in un periodo, in una frase, in una parola! La pagina eterna! Felice chi l’ha scritta! È lei che tiene unite le altre. S’ella mancasse, esse andrebbero disperse come foglie secche, ma poich’ella c’è le altre le si stringono intorno e brillano di luce riflessa. Eppure di uguali a queste ne furono scritte molte, e un tesoro di pensieri fu profuso in cento libri obliati. Ma quei libri son morti perché non avevano la pagina eterna.

— Ed essa non c’è, io lo sento, — proseguì il giovane con amaro sconforto, — in quei quattrocento settantacinque foglietti che consegnerò domani allo stampatore, non ci fu in quelli che scrissi in passato, non ci sarà in quelli che scriverò in avvenire…. E perché non ci dovrà esser mai?…. Se rivedessi ancora una volta il mio lavoro… se provassi…

A questo punto il lume, che scoppiettava da un pezzo, die’ un vivo barbaglio e poi si spense, mandando un grandissimo puzzo nella stanza. Richiamato al sentimento della vita reale, Excelsior cercò a tastoni i fiammiferi e accese una candela. Indi guardò l’orologio. Erano le quattro, e il nauseabondo odor del petrolio rendeva impossibile di rimaner lì a lavorare. Il giovine si decise a coricarsi, e la pagina eterna gli restò nella penna. Né seppe scriverla il giorno appresso, nè seppe scriverla più. Ridotto in fin di vita da lì a pochi anni, chiamò al suo letto la donna casta e gentile che stava in cima de’ suoi pensieri, e le disse: — Tutti i miei manoscritti, tutti i miei libri son tuoi. Io avrei voluto dedicarti pubblicamente quante son le mie opere, ma perché legare il tuo nome a un cadavere? Aspettavo sempre la pagina degna di te, la pagina eterna, e la pagina eterna non è venuta.

*Enrico Castelnuovo (1839 – 1915), Alla finestra. Novelle, Milano, Treves, 1878; 1885