Georges Palante, l’individualismo e la mentalità del ribelle

Lucifero visto da Franz von Stuck
Nella foto: un particolare del dipinto di Franz von Stuck - Lucifer (1890)

FABRIZIO PINNA. I. Il testo che apre e dà il titolo a questo libro, La mentalità del ribelle (La Mentalité du révolté), fu una delle prime collaborazioni pubblicate dal filosofo e psico-sociologo francese Georges Palante (1862-1925) nel «Mercure de France» (giugno 1902), una rivista culturale indipendente all’epoca celebre – anche in Italia – e per la quale alcuni anni dopo, dal 1911 al 1923, curò le cronache di editoria filosofica; lo scritto ironico/polemico, e in parte sarcastico, venne poi incluso senza varianti nella sua raccolta di articoli e saggi Combat pour l’Individu, un libro che “si sarebbe potuto intitolare anche L’individuo contro la società” (Paris, Félix Alcan, 1904). 

Due tipi di immoralismo (Deux types d’immoralisme) fu invece pubblicato inizialmente nella «Revue philosophique de la France et de l’étranger» – periodico fondato e diretto dal filosofo e psicologo Théodule Ribot (1839-1916) – e successivamente incluso da Palante nella silloge La Sensibilité individualiste (Paris, Félix Alcan, 1909), con la quale accentuava il suo distacco dalle dottrine politiche militanti a lui maggiormente affini (socialismo, liberalismo e anarchismo).

La sezione “Cammeo” si apre con una pagina autobiografica semiseria in cui Palante prendeva di mira Kant e Lachelier ed è estratta da una delle sue cronache librarie scritte per il «Mercure de France» (15 marzo 1921) che aveva in gran parte dedicato, in clima di patriottismo postbellico, al “Ritorno della psicologia francese alle sue origini”.

Lo scritto di Georges Palante che si è intitolato “Il filisteismo e lo snobismo filosofico” è invece una traduzione parziale del saggio Le philistinisme, l’ultimo in ordine cronologico che risulta essere stato da lui pubblicato («Le Monde Nouveau», 15 settembre 1923). [N.d.E. 2019: vedine ora anche qui in S-Composizioni una parziale traduzione]. Dopo “un fatto così enorme, così sconcertante come la guerra” (sue parole del 1918) in Le philistinisme Palante riprende, con un’angolazione un po’ diversa e aggiornata sui dibattiti allora in corso, alcuni scritti di polemica anti-borghese che risalgono al periodo prebellico, in particolare proprio La mentalità del ribelle e La sensibilità individualista, oltre a Lo spirito da prete laico (1909) e ad alcune “divagazioni” in difesa del neo-romanticismo fin de siècle che si trovano nella seconda parte di Pessimismo e Individualismo (1914), complemento e approfondimento delle sue tesi su Le Antinomie tra l’individuo e la società (1912/1913) (1).

Cammeo nel cammeo, il testo – in lingua originale – dedicato a Palante dall’intellettuale, giornalista, poeta e saggista americano Benjamin De Casseres (1873-1945), lontano parente del filosofo Baruch Spinoza (1632-1677); ironicamente indirizzato anche a noi, ladies and gentlemen of posterity, il saggio è ripreso da un suo opuscolo “autoprodotto”, The Individual Against Moloch, che pubblicò nel 1936 ed è oggi introvabile in nuove edizioni o ristampe. [N.d.E. 2019: vedine il testo ora anche qui in S-Composizioni]


II. Rimasto fuori dai circuiti della grande editoria commerciale contemporanea, generalista e accademica (2), è certamente vero che Palante continui ad essere relativamente poco letto e “très peu étudié”, come ha scritto di recente un giovane studioso francese, ma è ricorrere a un ormai vecchio cliché, oggi improprio, sostenere che “resti un illustre misconosciuto nel paesaggio filosofico e sociologico”, “conosciuto soprattutto attraverso il prisma letterario del personaggio di Cripure dovuto alla penna di Louis Guilloux” (3). Il recupero della memoria palantiana nel secondo Novecento ha seguito vie accidentate, costellate da casualità, contingenze storiche e mode culturali, secondo vicende solo parzialmente ripercorse da Yannick Pelletier nella sua prefazione a una ristampa di Souvenir sur G. Palante (1931) di Louis Guilloux (Editions Diabase, 2014). Tuttavia non è un caso raro e non possiamo sapere, ad esempio, come sarebbe andata se non fosse naufragata un’edizione di scritti di Palante che aveva in progetto Albert Camus (1913-1960) già nel primissimo dopoguerra, anteriormente alla pubblicazione de L’homme révolté (1951) in cui Georges Palante è ricordato di passaggio a margine di una nota. Per il resto, in quegli anni la conoscenza del filosofo rimase sostanzialmente confinata ad alcuni gruppi di individualisti libertari anarchici, in particolare quelli animati dal francese E. Armand (1872-1962) e dal belga Hem Day (ovvero: Marcel Dieu, 1902-1969). 

In Italia Georges Palante probabilmente continua tutt’oggi ad essere noto quasi esclusivamente a chi ha una qualche conoscenza delle tradizioni culturali e dell’editoria di area radicale e anarchica, dove si possono trovare anche alcune traduzioni contemporanee di suoi scritti (ad esempio nel catalogo delle edizioni Immanenza di Napoli). Tutti i suoi libri maggiori apparvero la prima volta in traduzione italiana, pubblicati dalla Casa Editrice Sociale fondata a Milano da Giuseppe Monnanni e Leda Rafanelli, alla vigilia della dittatura fascista (1921/1923), sollecitando così solo qualche polemica fra anarchici individualisti e collettivisti, e poco più. È forse anche per questo che in un sito divulgativo relativamente affidabile come Wikipedia nella voce in lingua italiana dedicata a Palante il filosofo viene definito erroneamente come “anarco-individualista”. 

Si deve a una pionieristica indagine socio-psicologica transnazionale di Augustin Hamon (1862-1945) il primo tentativo di definire in modo non impressionistico una Psychologie de l’anarchiste-socialiste (Paris, P.-V. Stock, 1895), da lui delineata come “aggregato di caratteri psichici, quali: Spirito di ribellione, Amore per l’Io (o individualismo), Amore per gli Altri, Amore per la Libertà, sentimento di giustizia, senso della logica, curiosità di conoscere, spirito di proselitismo”, con alcune “differenze individuali dovute agli ambiti ereditari, sociali, nazionali, professionali, climaterici” (4).

Ad ogni modo, fu lo stesso Palante a scrivere un saggio, Anarchismo e individualismo (1907), dedicato proprio a precisare meglio – anche rispetto a La mentalità del ribelle – le differenze fra la sua visione filosofica, peraltro sempre più spinta verso l’ascesi, e la dottrina politica anarchica: “Noi abbiamo provato a difendere nel nostro libro Combat pour l’Individu, un certo individualismo che è stato qualificato da molti critici come anarchismo intellettuale. L’epiteto di anarchico non ha nulla che ci faccia paura, ma per la chiarezza delle idee noi crediamo che convenga mantenere distinte le due espressioni anarchismo e individualismo”. L’equivoco non si dissolse del tutto; qualche anno dopo, in una lettera parzialmente conservata indirizzata all’amico Camille Pitollet (Hillion 31 dicembre 1912), così Palante tornava a riassumere in modo informale alcune delle principali linee di fondo del suo pensiero: 

«L’esposizione delle mie idee [fatta da Léon Lozach nella “Revue des Idées”] è esatta, nel suo insieme. Tutto ciò che concerne il pessimismo sociale, il razionalismo, il rovesciamento dei valori è assolutamente esatto. Rileverei solamente alcune espressioni che non corrispondono per nulla alla mia attitudine di pensiero. Quando si dice che io non sono “solamente un rivoluzionario”, ma che io sono “la rivoluzione personificata”, devo dire che i termini “rivoluzionario”, “rivoluzione” sono inadeguati. È “ribellione” (révolte) e “ribelle” (révolté) che si sarebbe dovuto scrivere. Ribellione è individuale o individualista. Rivoluzione è cosa collettiva, implica un ideale collettivo al quale io non aderirei. Ugualmente, quando si dice che io credo “all’illuminismo libertario”, se si vuole dire che io aderisco all’ideale libertario convenzionale, è inesatto. Infine e soprattutto, io non sono anarchico. L’anarchismo implica un affinismo sociale (affinisme social) che è ben lontano dal mio pensiero. Io sono individualista, vale a dire: pessimista sociale; ribelle; partigiano del massimo di isolamento (morale) dell’individuo; amico appassionato di un’attitudine di diffidenza e di disprezzo all’indirizzo di tutto ciò che è sociale – istituzioni, costumi, idee, etc. – vale a dire che io non ammetto nessuno dei credo collettivi, compreso l’anarchismo […]”.


III. “Partigiano del massimo di isolamento (morale) dell’individuo”, Palante non era tuttavia un anacoreta. Oltre a collaborare ad alcune riviste, di mestiere fece per tutta la vita il professore di filosofia.  Le Antinomie tra l’individuo e la società e Pessimismo e individualismo sono due libri nati inizialmente come tesi da presentare alla Sorbona di Parigi per ottenere un dottorato; depositò i titoli già nel 1907, ma per ragioni ideologiche e per l’approccio rude e per nulla diplomatico che Palante tenne con i suoi relatori (Gabriel Séailles e Célestin Bouglé) la tesi nel 1911 fu respinta in prima lettura e non ammessa alla discussione finale. Gli fu quindi sbarrata la strada per la carriera accademica, negandogli l’eventuale possibilità di concorrere per una qualche cattedra universitaria; nel 1898 era entrato stabilmente nel corpo docenti del liceo di Saint-Brieuc e lì, dunque, continuò a insegnare fino al pensionamento. 

Sebbene critico verso tutte le ideologie di partito e restio alla militanza politica, a Saint-Brieuc in due occasioni – prima e dopo la Grande Guerra (1908 e 1919) – si presentò alle elezioni amministrative come candidato indipendente, aggregato a liste che, grosso modo, includevano liberali radicali, libertari, socialisti e repubblicani, non riuscendo però a ottenere un seggio. Ma sulla questione teoria/prassi rimase comunque scettico sino alla fine, come argomentò ulteriormente anche nel dopoguerra, intervenendo in un dibattito sulle possibili applicazioni politiche dell’individualismo: 

«Io difficilmente concepisco un individualismo dottrinale; così come un socialismo dottrinale, del resto. Le due dottrine classiche – da una parte il vecchio economismo individualista, dall’altra il marxismo – hanno perso molto del loro credito e hanno dovuto lasciare cadere più di uno dei loro dogmi. La politica e l’economia sono delle scienze troppo poco avanzate; forse anche la materia di queste scienze è essa stessa troppo mobile per autorizzare per lungo tempo, e forse mai, un’ipotesi valida. Perlomeno si può provare a utilizzare l’individualismo come un metodo e un punto di vista per studiare le questioni.» (Les Applications politiques de l’Individualisme, «L’Ordre Naturel», n. 11, 17 febbraio 1921).


IV. Affetto da acromegalia, malattia rara che condizionò molto il suo stato di salute, Georges Palante morì suicida il 5 agosto 1925, poco dopo essere andato in pensione: lo scritto accorato di Louis Prat (1861-1942) che chiude questo libro, pubblicato in una rivista qualche settimana dopo la morte dell’amico, ci riporta a quell’epoca e alla scelta estrema del filosofo (5). Qui nell’ebook nella traduzione italiana si è modificato il titolo riprendendo un passaggio del testo di Prat che per indicare la conflittualità esistente fra individuo e società, cardine al quale si ancora tutta la riflessione e meditazione filosofica palantiana, richiama una suggestiva espressione escogitata proprio da Kant, “insociabile sociabilità umana”, espressa nella Quarta tesi della sua “Idea per una storia universale in un intento cosmopolitico” (1784) (6). Sostenitore di una religione filosofica caduta nell’oblio alla sua morte, Prat è oggi un filosofo del quale si è davvero persa quasi del tutto la memoria; coetanei e amici ma giunti a orientamenti filosofici molto diversi, Palante, che faceva “profession d’être antimétaphysicien féroce” (come argomentò anche nell’Almanacco del Coenobium 1912), ne ha lasciato un breve profilo in cui in realtà – per analogia e contrasto – dice molto anche di se stesso e del suo ideale del buon filosofo

«Prat è il discepolo e il continuatore originale di Renouvier, del quale è anche l’esecutore testamentario. Egli ha segnato il suo posto nella filosofia francese con una serie di opere la cui ultima, Les Contes pour les Métaphisiciens, merita di essere considerata a parte rispetto alle altre. Mi premuro di dire che io non condivido per niente le idee di Prat. Nemmeno per un istante entro nella dottrina. Io resto alla porta di questo dogma metafisico come resto alla porta del dogma teologico. Mi batto il petto dicendo: Non sum dignus… Ma questo non importa. Questo libro strano, enigmatico, mistico, simbolico e che nello stesso tempo evoca delle grandi figure di ieri – Renouvier, Lequier –, questo libro mi ha sedotto, mi ha risvegliato dal mio torpore antimetafisico. Questo libro si legge come un dialogo di Platone, una fantasia (féerie) di Shakespeare, come un dialogo di Renan. E poi, è così inattuale, cosi anacronistico; è così a controfilo di tutto il pensiero contemporaneo! Quello che mi rende Prat simpatico, è che io vedo in lui un originale, un “rivendicatore” a modo suo; un individualista che pensa tutto solo nel suo angolo e che da là proietta il suo fascio di luce sul mondo.» (7). Fabrizio Pinna, maggio 2018

**Questo scritto – comprese le note successive – ripropone senza variazioni la “Nota ai testi e Postfazione” originariamente pubblicata in chiusura dell’e-book Georges Palante, La mentalità del ribelle, Pieffe Edizioni 2018 [a cura di Fabrizio Pinna; ebook Collana MiniMix n. 2; ISBN 978-88-99508-13-5]. Le poche integrazioni qui aggiunte sono esplicitamente indicate tra parentesi quadre con la dicitura N.d.E. 2019. effe


Note

(1) Del resto il clima culturale stava cambiando già prima della guerra; ne prendeva atto pubblicamente lo stesso Palante sia in una cronaca del Mercure de France (“La Génération honnie”, MdF 16 maggio 1913) sia nella sua breve premessa a Pessimisme et Individualisme (1914): «Nel rileggere, per consegnarlo al pubblico, questo studio scritto ormai qualche anno fa, non posso impedirmi di constatare che esso non è precisamente nel gusto del giorno. Questa psicologia del Pessimismo e dell’Individualismo cade un po’ come una “Inattuale” in pieno rinnovamento di spiritualismo, di moralismo, di religiosità – confessionale o laica, poco importa –; in pieno favore delle filosofie che professano più o meno apertamente il primato dell’azione o della fede o, ancora, delle esigenze dell’interesse sociale. Tutto ciò non fa che dare a questo piccolo libro un sentore di “reazione” che non ha da dispiacermi. Io spero, quantomeno, che questa “reazione” non sarà troppo malvista da qualcuno dei chiari spiriti che si riallacciano alla generazione che ha appreso a vedere il mondo sotto l’ottica istituita dai suoi maestri – uno Stendhal, un Taine, un Renan, un Anatole France  – e che ha avuto il merito, se ce n’è uno, di guardare le idee in faccia e di non subordinarle mai a niente.»

(2) Il saggio Le philistinisme frammentariamente tradotto in questo e-book è stato “riscoperto”, insieme a qualche altro testo disperso, una decina d’anni fa da Stéphane Beau, il quale ha curato la raccolta di una parte degli scritti del filosofo: Georges Palante, Chroniques complètes. Vol. 1: Mercure de France 1911-1923, e Vol. 2: Revue philosophique 1895-1913 et autres parutions, edizione Coda, Checy (Loiret) 2006 e 2009. Si può dire che la pubblicazione delle Chroniques abbia chiuso un ciclo editoriale palantiano idealmente inaugurato una ventina d’anni prima, nel periodo in cui riprendeva in Francia il dibattito sull’individualismo (metodologico ed etico), da una breve antologia preparata da Yannick Pelletier, L’individu en détresse (Romillé, Folle Avoine, 1987; “Pourquoi rééditer Georges Palante qu’à peu près tout le monde ignore aujourd’hui?” erano le parole d’esordio della sua Préface…). L’iniziativa attirò l’attenzione di Alain Laurent e, sopratutto, di Michel Onfray, a quel tempo giovane studioso e inquieto filosofo agli esordi. Promotore del primo convegno di studi palantiani (cfr. La Révolte individuelle : actes du colloque Georges Palante. Saint-Brieuc 9-11 novembre 1990, Bédé, Editions Folle Avoine, 1991), oltre a una monografia (1989) e a un’antologia militante (1995) oggi fuori commercio, Onfray ha curato singole riedizioni dei principali libri di Georges Palante e anche l’unica raccolta complessiva delle sue Œuvres philosophiques (ed. Coda, 2004). Alla morte del filosofo la sua seconda moglie, illetterata e verosimilmente risentita, disperse la biblioteca privata di Palante e non conservò documenti del marito; la corrispondenza è oggi solo frammentariamente conservata in alcuni archivi, ma in gran parte è andata distrutta, cosicché il dossier documentario più completo per ora rimane quello su Louis Guilloux et Georges Palante. L’amitié – la fêlure, «Cahiers Louis Guilloux» n. 2 (Bédée, Folle Avoine, 2008). La riedizione delle opere ha favorito qualche nuovo studio, soprattutto di sociologi interessati alle critiche rivolte da Palante alle teorie di Émile Durkheim (1858-1917), il quale del resto a sua volta stroncò – e fece stroncare dai suoi sodali – il breve Compendio di sociologia, il primo ad essere pubblicato in Francia (Précis de sociologie, 1901). Per il contesto storico dell’epoca, con ampi riferimenti a Palante: Albert Schatz, L’individualisme economique et social: ses origines, son evolution, ses formes contemporaines, Paris, Colin, 1907.

(3) Tristan Velardo, Georges Palante. La révolte pessimistePréface de Michel Hastings, Parigi, Éditions l’Harmattan, 2017, p. 40. Cripure è un personaggio di Le Sang noir (prima edizione, 1935); il romanzo di Guilloux è stato tradotto anche in italiano, con il titolo di Sangue nero, ma l’ultima ristampa (Feltrinelli 1982) è ormai fuori commercio da decenni. Senza entrare qui in dettagli bibliografici, oltre ai partecipanti al Convegno del 1990, a Michel Onfray e a Stéphane Beau, si possono comunque ricordare i principali autori contemporanei che hanno approfondito aspetti del pensiero di Palante: Yannick Pelletier, Alain Laurent, Dominique Depenne, Philippe Corcuff, Marc Joly, Christopher E. Forth, Paul Mirabile e il sociologo spagnolo Alejandro Romero Reche.

(4) Traduco da p. 287 (ma cfr. anche A. Hamon, Socialisme et anarchisme. Études sociologiques. Definitions, ed. Sansot 1905). Nonostante evidenti limiti di rigore rispetto ai più sofisticati standard scientifici di oggi, i contributi di Hamon continuano a conservare valore, sebbene solo in anni recenti siano stati parzialmente rivalutati da alcuni studi di rilievo; in ultimo si può vedere Jesús F. Salgado, «Augustin Frederic Hamon: Anarquismo y Psicología Social», in Les cahiers de psychologie politique, numéro 28 [«Dossier : Anarchisme et pensée libertaire»], Janvier 2016 [Online, URL: http://lodel.irevues.inist.fr/cahierspsychologiepolitique/index.php?id=3239

(5)  Louis Prat, Georges Palante, in «La Pensée française», a. IV, n. 106, 26 ottobre 1925. [N.d.E. 2019: vedine ora qui in S-Composizioni la traduzione]

(6) Una recente traduzione dall’originale tedesco di Maria Chiara Pievatolo la si può leggere a questo URL: http://btfp.sp.unipi.it/dida/kant_7/ar01s02.xhtml#ftn.idp28832000

(7) Mercure de France, 16 marzo 1913, cit. a p. 390; Palante ricordò Prat anche nell’ultima sua cronaca apparsa sul MdF, nel gennaio 1923. Per i lettori interessati a conoscere meglio il pensiero di Palante sono in preparazione alcuni e-book a lui dedicati, fra i quali i più prossimi ad essere pubblicati – in estate o autunno – sono Georges Palante, Borghesi, snob e filistei. La sensibilità individualista fra Stirner, Schopenhauer e Nietzsche, e Libertari. Individualismo e anarchismo, con testi anche di altri autori, sempre con traduzioni e cura di chi scrive queste note. Alcuni scritti di (e su) Palante si possono leggere – in prime bozze di traduzione – anche in S-Composizioni in Rivista: https://www.rivistascomposizioni.eu/tag/georges-palante. Infine, nel volume n. 11 di questa stessa collana MiniMix (Gaetano Mosca, La classe politica) nella sezione “Cammeo” si può leggere L’antinomia politica, capitolo ripreso da Les antinomies entre l’individu et la société di Palante.

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