Wilde: modelle e modelli professionisti, un’invenzione puramente moderna

OSCAR WILDE — Le modelle e i modelli professionisti sono un’invenzione puramente moderna. I Greci, ad esempio, non li conoscevano affatto. Mr. Mahaffy, è vero, ci dice che Pericle aveva l’abitudine di offrire dei pavoni alle gran dame della società ateniese per indurle a posare per il suo amico Fidia, e noi sappiamo che Polignoto introdusse nella sua pittura delle donne troiane la faccia di Elpinice, la celebre sorella del grande leader Conservatore del giorno; ma queste grandes dames è chiaro che non rientrano nella nostra categoria. Quanto agli antichi maestri, essi fecero indubbiamente moltissimi studi dei loro allievi e lavoranti e anche i loro quadri religiosi sono pieni di ritratti dei loro amici e conoscenti, ma non pare che abbiano avuto l’inestimabile vantaggio dell’esistenza di una classe di persone la cui unica e vera professione è appunto quella di posare. Infatti, il modello, nel senso nostro di questa parola, è una diretta creazione della Scuola Accademica.

Adesso ogni paese ha i suoi modelli, eccetto l’America. A New York, e persino a Boston, un buon modello è una tale rarità che molti artisti sono costretti a dipingere il Niagara o i ritratti dei milionari. In Europa, comunque, è diverso. Qui abbiamo grande abbondanza di modelli e di tutte le nazionalità. I modelli Italiani sono i migliori. La grazia naturale della loro attitudine, come pure il loro mirabile colorito pittorico li rendono dei soggetti facili — spesso anche troppo facili! — per il pennello del pittore. I modelli Francesi, quantunque non cosi belli come gli italiani, possiedono una rapidità di simpatia intellettuale, una tale capacità di comprendere l’artista che è veramente notevole. Essi hanno anche una grande mobilità di espressione, sono particolarmente drammatici e possono chiacchierare nell’argot dell’atelier con la stessa intelligenza del critico del Gil Blas. I modelli Inglesi costituiscono una classe interamente a sé. Non sono così pittoreschi come gli Italiani e cosi intelligenti come i Francesi e non hanno nessuna tradizione, per così dire, del loro ordine. Di tanto in tanto alcuni vecchi veterani battono alla porta degli studi e propongono di posare da Aiace che sfida i fulmini o da Re Lear curvo sull’elmo piumato. Uno di essi, qualche tempo fa, si recò da un pittore popolare il quale, trovandosi appunto nella necessità di un modello, lo prese e gli disse di cominciare a inginocchiarsi nell’attitudine di uno che preghi. «Devo essere Biblico o Shakesperiano, signore?», domandò il veterano. «Ebbene, Shakeperiano», rispose il pittore, curioso di vedere in quale sottile nuance d’espressione il modello avrebbe fatto consistere la differenza. «Benissimo, signore!», disse quel professore di posa e poi s’inginocchiò solennemente e cominciò ad ammiccare, con l’occhio sinistro! Questa classe, però, sta per finire. Di regola, oggigiorno, il modello è una bella ragazza, dai dodici ai venticinque anni, che non sa nulla dell’arte, che non se ne cura e desidera soltanto guadagnare sette od otto scellini al giorno senza troppa fatica. Le modelle Inglesi raramente guardano un quadro e non azzardano mai alcuna teoria estetica. In verità, esse realizzano completamente l’idea di Whistler sulla critica d’arte, poiché non fanno mai critica del tutto. Accettano tutte le scuole d’arte con la cattolicità di un venditore all’incanto e posano tanto per un giovane fantastico impressionista quanto per un pesante e laborioso accademico. Non sono né per i Whistleriani né contro di loro; la lotta tra la scuola dei fatti e la scuola degli effetti le lascia indifferenti; idealismo e realismo sono parole vuote di senso per loro; desiderano semplicemente che lo studio sia ben caldo e la colazione abbondante, poiché tutti gli artisti danno la colazione ai loro modelli.

Quanto a ciò che devono fare, sono perfettamente indifferenti. Il lunedì indosseranno i cenci di una ragazza mendica per M. Pumper, le cui patetiche pitture della vita moderna strappano al pubblico tante lacrime, e il martedì poseranno, ravvolte in un peplo, per Mr. Phoebus, il quale crede che tutti i soggetti veramente artistici siano necessariamente A. C. Esse passano allegre attraverso tutti i secoli e tutti i costumi e, simili agli attori, sono interessanti soltanto quando non sono se stesse. Sono di un carattere estremamente buono e accomodantissime. «Per che cosa posate?», domandò un giovane artista a una modella che gli aveva mandato i sui recapiti (tutte le modelle, tra parentesi, hanno dei biglietti da visita e una borsetta nera). «Oh, per qualunque cosa vi piaccia, signore! Poso anche da panorama, se è necessario!», rispose la ragazza.

Intellettualmente parlando, bisogna riconoscerlo, sono Filistee, ma fisicamente sono perfette — almeno alcune. Per quanto nessuna di loro possa parlare Greco, moltissime sembrano Greche: cosa che, per un pittore del secolo decimonono, è naturalmente di grande importanza. Se glielo si permette, fanno un gran chiacchierare, ma non dicono mai nulla. Le loro osservazioni sono soltanto le banalités sentite in Bohème. Ad ogni modo, benché non siano in grado di valutare l’artista come artista, sono sempre pronte ad apprezzarlo come uomo. Sono sensibilissime alla gentilezza, al rispetto e alla generosità. Una bella modella che aveva posato per due anni dinanzi a uno dei nostri più distinti pittori inglesi, si fidanzò con un venditore ambulante di gelati da un penny. Al momento del matrimonio, il pittore le mandò un bel regalo di nozze e ricevette in risposta una deliziosa lettera di ringraziamento con questo notevole P. S.: «Non mangiate mai green ices!».

Quando sono stanche, un artista accorto le fa riposare. Allora esse si siedono su una poltrona e leggono qualche spaventosa avventura da un penny sino al momento di lasciare la tragedia della letteratura per riprendere il loro posto nella tragedia dell’arte. Poche di loro fumano sigarette. Ciò, tuttavia, è considerato dalle altre modelle come una mancanza di serietà e in generale non è una cosa ammessa. Vengono impegnate per una giornata o per mezza. La tariffa è di uno scellino l’ora, a cui i grandi artisti generalmente aggiungono il prezzo dell’omnibus. Le due loro cose più belle sono la grazia e la perfetta rispettabilità. Come classe sono molto bene educate, in specie quelle che posano per la figura, un fatto questo che è o naturale o strano, a seconda del punto di vista da cui si guarda l’umanità. Generalmente si sposano bene e qualche volta sposano l’artista. Per un artista sposare la sua modella è fatale come per un gourmet sposare la sua cuoca.

Nel complesso le modelle Inglesi sono molto ingenue, molto naturali e assai allegre. Le virtù che l’artista apprezza di più in loro sono la grazia e la puntualità. Ogni modella sensibile, di conseguenza, tiene un diario dei suoi impegni e si veste con eleganza. La stagione peggiore è, naturalmente, l’estate, quando gli artisti sono lontani dalla città. Tuttavia, in questi ultimi anni alcuni artisti hanno invitato le loro modelle a seguirli e la moglie di uno dei nostri più deliziosi pittori ha avuto spesso tre o quattro modelle a suo carico in campagna in modo che il lavoro di suo marito e dei suoi amici non venisse interrotto. In Francia emigrano en masse nei piccoli villaggi di mare o nelle foreste dove si riuniscono gli artisti. Invece, le modelle Inglesi attendono pazientemente a Londra il ritorno dei pittori. Quasi tutte vivono coi loro parenti e contribuiscono al mantenimento della casa. Hanno tutti i requisiti necessari per essere immortalate nell’arte tranne le belle mani. Le mani delle modelle Inglesi sono quasi sempre ruvide e rosse.

Quanto ai modelli maschi, ecco il tipo di veterano del quale abbiamo parlato più sopra. Egli ha tutte le tradizioni del grande stile e sta scomparendo rapidamente con la scuola che rappresenta. Un vecchio che parla di Füssli è insopportabile, naturalmente, e del resto i patriarchi hanno finito ormai di essere soggetti alla moda. Poi c’è il vero modello d’Accademia. Egli è, in generale, un uomo di trent’anni, raramente di bell’aspetto, ma un perfetto miracolo di muscoli. In realtà, egli è l’apoteosi dell’anatomia ed è cosi conscio del suo splendore che vi parla della sua tibia e del suo torace come se fosse l’unico a possedere queste cose. Viene poi il modello Orientale. Sono pochi, ma ce n’è sempre una dozzina, a Londra. Essi possono rimanere immobili per delle ore e in generale posseggono graziosissimi costumi. Ad ogni modo, hanno una magra stima dell’arte Inglese la quale considerano come qualcosa che sta fra la personalità volgare e la comune fotografia. Poi abbiamo il giovane Italiano, un vero specialista, oppure che si dà a questo mestiere quando il suo organetto è in riparazione. Egli è spesso affascinante con i suoi occhi grandi e malinconici, i suoi capelli crespi e la sua figura snella. È vero che mangia aglio, ma quando s’atteggia come un Fauno o si accovaccia come un leopardo, lo si perdona. È sempre pieno di graziosi complimenti e si sa che non risparmia parole d’incoraggiamento anche ai nostri più grandi artisti. Davanti a un ragazzo inglese della stessa età, non vuole posare affatto. Apparentemente non considera la professione di modello come una cosa seria. I ragazzi Inglesi sono difficili da trovarsi. Qualche volta un ex-modello che ha un figliolo gli arriccia i capelli, gli lava la faccia e lo conduce in giro per gli studi, tutto sapone e luccicore. La giovane scuola non lo desidera, ma la vecchia scuola sì e quando compare sulle pareti dell’Accademia Reale è chiamato The Infant Samuel. Per combinazione un artista scova una coppia di gamins in un vicolo e chiede loro se vogliono seguirlo nel suo studio. La prima volta ci vanno sempre, ma poi non mantengono più le loro promesse. Non amano affatto posare e hanno una forte e forse naturale antipatia ad assumere un aspetto patetico. D’altra parte essi hanno sempre l’impressione di essere presi in giro dal pittore. È una cosa triste, ma non vi è dubbio che i poveri sono completamente inconsapevoli della loro pittoricità. Chi si lascia indurre a posare lo fa con l’idea che l’artista sia un filantropo benevolo il quale ha scelto questo metodo eccentrico per distribuire l’elemosina. Forse la Board School insegnerà ai gamins londinesi il loro valore artistico e allora essi saranno modelli migliori di quanto ora non siano. Un privilegio notevole è quello dei modelli dell’Accademia e cioè di estorcere una sterlina d’oro a ogni nuovo eletto dell’Associazione. Essi aspettano a Burlington House sino a quando la proclamazione è fatta e poi corrono fino alla casa dello sfortunato artista. Chi arriva primo riceve i soldi. Ultimamente sono stati molto seccati per le lunghe distanze che hanno dovuto percorrere e pensano con pena all’elezione degli artisti che vivono ad Hampstead o a Bedford Park; poiché essi considerano come una questione d’onore quella di non servirsi né della ferrovia sotterranea, ne degli omnibus, né di alcun mezzo artificiale di locomozione. La corsa è degli agili.

D’altronde i posatori professionisti dello studio sono anche i posatori delle sfilate, i posatori dei tè pomeridiani, i posatori della politica e i posatori dei circhi. Tutte queste quattro classi sono deliziose, ma solamente l’ultima classe è sempre realmente decorativa. Gli acrobati e i ginnasti possono dare ai giovani artisti innumerevoli spunti, perché essi portano nella loro arte un elemento di rapidità e di mobilità che al modello dello studio necessariamente manca. Ciò che è interessante in questi “schiavi del ring” è che in essi la Bellezza è un risultato inconsapevole, non uno scopo cosciente; di fatto, il risultato del calcolo matematico delle curve e delle distanze, dell’assoluta precisione di sguardo, della conoscenza scientifica dell’equilibrio delle forze e del perfetto allenamento fisico. Un buon acrobata è sempre grazioso, quantunque la grazia non sia il suo obbiettivo: egli è grazioso, perché ciò che fa lo fa sempre nel migliore modo possibile: egli è grazioso perché è naturale. Se un antico Greco tornasse a vivere oggi, egli andrebbe molto più volentieri agli spettacoli del circo che non a teatro. Un buon circo è un’oasi di Ellenismo in un mondo come il nostro che legge troppo per essere saggio e che pensa troppo per essere bello. Se non fosse per il campo di corse di Eton, per le regate di Oxford, per i bagni del Tamigi e per gli spettacoli annuali dei circhi, l’umanità dimenticherebbe la perfezione plastica della sua forma e degenererebbe in una razza di professori miopi e di précieuses occhialute. Non già che i proprietari dei circhi siano, di regola, consapevoli della loro alta missione. Non ci seccano anch’essi forse con la loro haute école e con i clown shakesperiani? Ma, almeno, ci danno degli acrobati e gli acrobati sono degli artisti. Il solo fatto che essi non rivolgano mai la parola agli spettatori dimostra che comprendono la grande verità e cioè che l’arte non consiste nel rivelare una personalità, ma soltanto nel piacere. Il pagliaccio può essere un chiacchierone, ma l’acrobata è sempre bello. Esso è un interessante combinazione dello spirito della scultura Greca con le pagliuzze del sarto moderno. Ed ha sempre avuto il suo posto nei romanzi del nostro tempo: e se Manette Salomon può essere il vero ritratto della modella, Les Frères Zemganno sono l’apoteosi dell’acrobata.

Quanto all’influenza del modello ordinario sulla nostra scuola pittorica Inglese, non si può dire che essa sia veramente buona. Certo, è un vantaggio per il giovane artista seduto nel suo studio poter isolare “un piccolo angolo di vita”, come dicono i francesi, dal molesto ambiente circostante e studiarlo sotto certi aspetti di luce e di ombra. Ma questo completo isolamento conduce spesso al puro manierismo nel campo della pittura e lo priva di quella vasta comprensione dei generali fatti della vita, che è la vera essenza dell’arte. Il modello pittorico, in una parola, mentre può essere la condizione dell’arte, non è però il suo scopo. E semplicemente un elemento di pratica, non di perfezione. Il suo uso allena lo sguardo e la mano del pittore: il suo abuso produce nell’opera un effetto di pura posa e graziosità. È il segreto della maggior parte dell’artificiosità della nostra arte moderna questo costante posare di modelli graziosi, e quando l’arte diventa artificiale diventa monotona.

Al di fuori dell’angusto mondo dello studio, con le sue stoffe e con il suo bric-à-brac, si estende il mondo della vita con la sua varietà infinita, con la sua varietà shakesperiana. Noi dobbiamo comunque distinguere fra due tipi di modelli: quelli che posano per la figura e quelli che posano per il costume. Lo studio del primo è sempre eccellente, ma il modello in costume comincia a diventare piuttosto noioso nella pittura moderna. In realtà, è una cosa assai poco utile vestire con un peplo Greco una ragazza londinese e dipingerla come una dea. Il vestito può essere un vestito d’Atene, ma la faccia è di solito una faccia di Brompton. Di tanto in tanto, è vero, ci si imbatte in un modello la cui faccia è uno squisito anacronismo, e che sembra amabile e naturale nel vestito di un qualsiasi secolo eccetto il suo. Ma è piuttosto raro. Di regola i modelli sono assolutamente de notre siècle e dovrebbero essere dipinti come sono. Disgraziatamente non lo sono e, di conseguenza, ci vengono mostrate ogni anno una serie di scene da ballo in maschera che sono chiamate pitture storiche, ma che sono poco più di una mediocre rappresentazione di gente moderna camuffata. In Francia sono più saggi. Il pittore Francese adopera il modello semplicemente per motivo di studio; per finire poi la sua opera egli si rivolge direttamente alla vita.

Ad ogni modo, non dobbiamo biasimare i modelli per le corte vedute degli artisti. I modelli Inglesi sono bene educati e costituiscono una classe di duri lavoratori. Se poi essi si interessano più degli artisti che dell’arte, una grande parte del pubblico si trova nelle stesse condizioni e moltissime delle nostre esposizioni sembrano giustificarne questa scelta.

**Oscar Wilde, London Models. In: English Illustrated Magazine, Gennaio 1889 (poi in Essays and Lectures, 1908 e successive eds. Curate da Robert Ross). Questa traduzione italiana è quella che fece Virgilio Bondois (18??- 1931?), ora solo parzialmente rivista sull’originale inglese.