Vicente Huidobro: La confessione inconfessabile (autobiografia)

VICENTE HUIDOBRO — Tutta la mia vita la si può riassumere in queste tre parole: amore, poesia, analisi. L’amore mi ha fatto commettere ciò che chiamano errori e perdonare quelli degli altri; in amore ho sempre dato senza riserve e disinteressatamente. La poesia mi ha prestato una dose enorme di esaltazione e mi ha permesso di coprire la bruttezza e il tedio quotidiano con un meraviglioso abbigliamento. L’analisi mi ha convertito in un rivoluzionario di tutti i concetti e di tutti i pregiudizi, di tutti quei principi stabiliti sulla sola base dell’ipocrisia sociale. Ogni spirito analitico deve essere un ribelle.

Queste tre parole, caratteristiche di tutti i miei atti, hanno sempre portato piantata in cima una bandiera di sincerità.

Fin dalla mia infanzia non ho mai operato in difformità dal più intimo del mio essere. Di fronte a ogni azione, di fronte a ogni gesto della mia vita mi sono sempre guardato dentro domandando: sei d’accordo, cuore?

[…] […] […]

Nei mie primi anni, tutta la mia vita artistica si riassume in una scala di ambizioni. Ai diciasette anni mi dissi: devo essere il primo poeta dell’America; poi, col passare degli anni, pensai: devo essere il primo poeta della mia lingua. Dopo, nella misura in cui il tempo correva, le mie ambizioni andarono salendo e mi dissi: devo essere il primo poeta del mio secolo, e più tardi, studiando la poesia con un amore sempre più profondo, giunsi a convincermi che la poesia non era mai esistita e che fosse necessario che alcuni di noi si costituissero in una vera setta per farla esistere. Quello che è stato chiamato fino ad oggi poesia è un meschino commento sulle cose della vita e non una creazione del nostro spirito. Sono vane infiorettature poste intorno alle cose, ma non è la creazione di un fatto nuovo inventato da noi.

Il poeta è un piccolo dio. Si tratta, dunque, di condensare il caos in minuscoli pianeti di emozione.

Ed ecco qui la sintesi di una vita, di una vita intensamente vissuta, di una vita a duecento chilometri all’ora, rischiando tutto ad ogni istante per farlo più intenso, più vibrante, saltando senza vertigine come un acrobata dal trapezio-poesia al trapezio-amore.

Lei, la mutatrice di direzioni, può essere soddisfatta poiché nonostante tutte le vicissitudini, nonostante le tempeste con tuoni e fulmini, lei continua ad essere ancora il centro della periferia.

E vivrò perché lei vive. Continuerò dibattendomi dentro questa periferia incolore come un pesce mostro fuori dal suo elemento. Figlio di questo secolo codardo e falso, continuerò a rompere i suoi mulini di farse; ultimo discendente della menzogna e della commedia sociale voglio allo stesso tempo essere il primogenito di una nuova era che già inizia a schiarire. Voglio essere il primo uomo libero, il primo che rompe tutte le catene.

La mia vita e mie miei fatti provano – oh, mondo stupido! – che non ti ho mai preso seriamente.

Amici! Sìamo gli ultimi ingannati di un’era equivoca e perversa, sìamo i primi uomini autentici; liberiamo i piedi dalle catene e dai ferri e lanciamoci ebbri di libertà nella frenetica danza della luce.

*Traduzione 2019: © Fabrizio Pinna – Diritti riservati.  Titolo originale: La Confesión Inconfesable, in Vicente Huidobro (1893-1948), Vientos contrarios, Santiago de Chile, Nascimento, 1926. È questa la traduzione dell’inizio e dell’ultima parte della prosa di Huidobro; si dà qui come anticipazione di un testo che sarà incluso in un libro di prossima uscita (e-book: Vicente Huidobro, Creazionismo, all’avanguardia. Manifesti di estetica e poetica, a cura di Fabrizio Pinna, Pieffe Edizioni 2019). Il testo in lingua originale si può leggere anche qui, in S-Composizioni in Rivista: La Confesión Inconfesable. Un precedente autoritratto biografico di Huidobro si trova in Pasando y pasando. Crónicas y comentarios (1914), un giovanile “libro de paz y de guerra” che Huidobro aveva dedicato “A los que componen la entusiasta falanje de mi generación.”; la prosa, intitolata semplicemente “YO” (Io), era a sua volta dedicata ad Andrés Gonzáles Blanco, “El culto crítico español que tanto ha recomendado la auto-critica”. (effe) 1/7/2019