PIETRO VERRI — Giovanni Locke nell’Analisi dell’intendimento umano, fra le grandi verità che ci fece conoscere, c’insegnò anche questa, che la maggior parte delle dispute sono non di cose, ma di parole, atteso che gli uomini al medesimo vocabolo attribuiscono idee differenti. Una buona definizione chiara e precisa toglierebbe la maggior parte delle dispute, singolarmente nella politica, dove le idee non sono semplici, ma astratte, e dove gli uomini alle parole Libertà, Giustizia, Governo ec. attribuiscono delle idee vaghe, e non ben contornate. Sarebbe un servigio assai importante che si renderebbe al pubblico nell’attual rivoluzione delle idee, qualora si rettificasse un piccolo vocabolario, e che l’evidenza della definizione obbligasse gli uomini ad attribuire l’idea medesima alla stessa parola. Ma quest’opera non verrà mai a uscire se non da una mente profonda, pacata, e abituata a svolgere le proprie idee, e da un cuore bastantemente nobile per non sacrificare agli idoli, ma unicamente all’augusta verità.
Libertà. Questa parola significa la sicurezza di godere delle facoltà fisiche e morali, e delle proprietà sin tanto che la legge non lo vieti. In ciò consiste la libertà civile, ma la piena libertà comprende la sicurezza che la legge non vieti mai se non le azioni che violino la libertà altrui.
Tirannia. Con questa parola s’intende quel governo, in cui gli uomini in carica possano più che non può la legge, e dove le leggi che si pubblicano, o vietino o comandino azioni, che non abbiano per oggetto la conservazione della libertà altrui.
Anarchia. È un disordine generale della società, dove gli audaci usurpano il potere, seducono colla speranza del bottino, e traggono dal loro partito un branco di disperati, i quali, senza legge o freno, col pretesto di ben pubblico invadono le proprietà, insultano al buon senso, e riducono un popolo o alla agonia, ovvero alla guerra civile.
Popolo. È la massa di tutti gli uomini che sono nella nazione. Qualunque unione d’uomini, che ardisca di operare o parlare a nome del popolo, a meno che non sia la maggiorità della nazione, è una unione ribelle e usurpatrice.
Governo legittimo. È quello che ne’ suoi atti e nelle sue leggi rispetta e seconda la volontà generale del popolo, per il quale è instituito.
Governo usurpato. È quello che ponendosi in guerra manifesta col popolo, lo atterrisce con atti arbitrarj, e proclama regolamenti e leggi oppressive del popolo.
Tributi. Sono il sacrificio d’una porzione della propria fortuna consegnata al pubblico erario per la tutela generale della società. Il limite di tal sacrificio è fissato da quello dei veri bisogni: tutto il di più sarebbe usurpazione. Ogni altro metodo è tirannico. La pubblicità dei conti è una parte essenziale d’un governo giusto: il mistero e l’oscurità sono indizio di rapina.
Legge. Debb’essere universale per esser giusta. Un temporario regolamento che particolarmente concernesse alcune professioni, può esser giusto; ma quello che risguardasse alcuni ceti (se pure vi son ceti) non può esser giusto giammai. Ogni uomo è cittadino uguale a ogni altro in faccia della legge.
Eguaglianza. L’uomo virtuoso non sarà mai uguale al birbante; l’uomo d’ingegno non lo sarà mai allo scimunito; l’uomo fermo e coraggioso non sarà mai uguale al pusillanime: quindi vi sono delle disuguaglianze morali fra gli uomini, come ve ne sono delle fisiche fra il vecchio e il giovine, fra lo storpio e il ben organizzato, fra l’atleta e l’infermo. Il voler portar l’uguaglianza fra queste classi sarebbe una vera stolidità. Basta che siano gli uomini tutti uguali innanzi alla legge, e che la nascita non dia privilegio alcuno, nel che solo può consistere l’uguaglianza.
Patriottismo. Questo vocabolo significa un disinteressato e costante amore della patria. Nelle rivoluzioni politiche i faziosi e turbolenti ne inalberano la insegna, e con questa maschera cercano di farsi valere. Ma chi serve a una fazione, chi sconvolge l’ordine sociale, chi eccita la guerra civile, chi calpesta la morale, chi non paga i suoi debiti, chi invidiosamente attenta alle proprietà, non è un patriota, ma bensì un catilinario, un ipocrita, uno scelerato. Volete voi conoscere un buon patriota? Fatevi render conto di quanto ha fatto per la patria.
Civismo. Vocabolo nuovo cavato dalla voce latina Civis. Non è già sinonimo di buon cittadino, cioè di un uomo che ami i suoi paesani, allontanando per quanto può i mali della patria, che sia fedele a’ proprj doveri, d’un uomo benefico, confortatore, istruttivo, salutare al paese. Civismo è parola di partito.
Misura. La lingua francese fa uso di questa parola mesure per dinotare una risoluzione presa, una determinazione fatta, uno spediente trascelto. Gl’Italiani, che hanno questi modi più esatti per esprimersi, lasciano ai falegnami, calzolaj, sartori, il vocabolo di misura, poiché non hanno bisogno dell’allegoria. Questa parola in italiano s’adopera ordinariamente per indicare uno slancio al di là del buon ordine.
Aristocratico. L’etimologia significa il governo degli ottimati. Qualora un governo s’affidi agli uomini migliori del paese pel merito delle loro virtù e per superiorità del loro ingegno, gli uomini saranno felici. In questo senso l’aristocratico sarà il migliore di tutti i governi. Questo nome i civisti lo danno per ingiuria. Giacobino, aristocratico, molinista, giansenista, eretico, papista, sgraziati vocaboli inalberati da partiti che si odiano e che dilaniano la città, la quale non può avere altra divisione, che savj e pazzi.
Aristocrazia. Quantunque in origine significasse gli uomini prescelti a governare, si corruppe dappoi quando i governanti giunsero a fare che i figli loro succedessero nelle loro cariche, e quindi nella repubblica apparve una classe separata di famiglie governanti, e venne condannata la parte maggiore del popolo a servire; e gli onori e i premj e le fortune divennero privative de’ nobili. Quindi l’aristocrazia è il migliore fra i governi, presa nel suo originario significato, essendo che nella massa di mille uomini forse appena due hanno i talenti e l’animo per governare bene uno Stato.
Democrazia. È il governo di tutti, cioè ogni uomo governa, ed è governato. Considerato esattamente un tal governo, non ha esistito giammai, perché in ogni unione o comizio sempre taluno primeggia, e ottiene, e carpisce l’assenso della docile e incerta moltitudine. In qualche modo ne’ piccolissimi paesi può trovarsi quella democrazia, che lascia il voto a chiunque nella sala delle pubbliche determinazioni; ma in ogni altro luogo il governo sarà sempre una aristocrazia o permanente o temporaria, non rimanendo in questo secondo caso al popolo che l’elezione degli ottimati.
Cittadino. Questo vocabolo non conviene che per dinotare un repubblicano, ossia un uomo che ha una Patria, e una Città propria. Gli abitanti delle città signoreggiate non sono popolate da cittadini, ma bensì da sudditi. Il nome onorevole di cittadino non si debbe rendere abusivo, altrimenti varrà quanto quello di conte a chi non possedeva contea; marchese a chi non dominava una marca; principe a chi non regnava su di uno Stato. Ne’ paesi conquistati e sudditi è tanto vano il titolo che gli abitanti si danno di cittadino, quanto quello che i paglietti di Napoli si danno di duca e principe.
Energia. Se dalla azione in cui è lodevole, si trasporti al pensiero, ella disordina l’intelletto, e guida l’uomo al delirio. Operare con energia, ma prima di determinarsi, tanto più si debbono maturare i consigli, quanto più importante è l’oggetto. L’energia nel giudicare conduce alla ferocia e al delitto.
Scioano. È il nome di una famiglia di Francia (1). Se ne fa uso da taluni per dileggiare, e rendere odiosi coloro che non si uniscono al loro partito. Gli uomini sono sempre gli stessi. Scioano serve presso de’ civisti, come presso gl’ipocriti servivano anni sono le voci incredulo, novatore. Sono accuse che si danno a chi non presenta nella sua vita altro appiglio per accusarlo. Questi pensieri mi meriteranno il nome di Scioano (Chouan).
(1) [Nota di Giulio Carcano: «Non è già il nome d’una famiglia, ma sibbene quello del partito realista francese, che nella Vandea e nelle provincie dell’ovest aveva preso le armi contro la rivoluzione, nel 1790; e deriva da chat-huant, dal grido con cui quei partigiani solevano ragunarsi.»]
Repubblicano. Chiamo con tal vocabolo un uomo, di cui la probità forma il carattere, di cui gli affetti signoreggia la filantropia ossia la benevolenza, che ha una costante avversione per qualunque ingiustizia, che odia la prepotenza e la tirannia sotto qualunque titolo e pretesto ella si presenti, e che non s’avvilisce mai ad essere schiavo d’alcun uomo, o d’alcuna fazione. Tali furono Catone, Bruto, Cicerone, veri repubblicani.
Schiavitù. Il primo grado è quando si viola la proprietà reale, e chi governa toglie arbitrariamente la fortuna del governato. Il secondo grado è quando si viola la libertà de’ pensieri, e chi governa animando alla delazione, aprendo le lettere, premiando il tradimento, obbliga gli uomini a fingere sentimenti e opinioni, rende sospetto l’amico, il parente, e quindi proscrive la gioia, la confidenza, e ogni sentimento sociale. Il terzo e sommo grado di schiavitù è quando l’uomo perde la proprietà della persona propria, costretto a prestarsi a un determinato servigio senza poter destinare chi supplisca per lui. Sarebbe un insulto impudente fatto al buon senso se si osasse vantare libertà sotto tali governi.
Egoismo. Significa un concentramento d’affetti a ciò che ha relazione con noi. Qualora l’ordine sociale sia corrotto e pervertito, e che nella nazione sia stupido il senso morale, e sieno annebbiati gli oggetti del diritto pubblico, non rimane al saggio altra scelta che o l’imprudenza o l’egoismo. Un uomo di spirito posto in simili circostanze diventava lumaca (cosi diceva), cioè si rannicchiava nel suo guscio.
*Pietro Verri (1728-1797) [La prima edizione di questo scritto, secondo la bibliografia descrittiva stilata da Isidoro Bianchi (1803: p. 297, voce LXIII): «Modo di terminare le Dispute. Stampato senza data alcuna nel 1797. In 8 di pag. 12.»]
Note a margine (di effe) Settecento, secolo di encyclopedies e di dictionnaires… Questo di Verri si può considerare in Europa il primo tentativo, polemicamente arguto ma puntuale, di stilare un vocabolario tematico dedicato al solo lessico politico. Tutto sommato, perché il suggerimento di Verri venisse idealmente ripreso, ma con maggior rigore, ampiezza e ambizione scientifica, in Italia bisognerà aspettare quasi due secoli, quando nel 1976 uscì la prima pubblicazione dell’oggi classico — e più volte rinnovato, fino alla sua ultima edizione Utet uscita nel 2016 — Dizionario di politica curato da Norberto Bobbio, Nicola Matteucci e Gianfranco Pasquino. Del resto sulla possibile efficacia del suo metodo Verri era piuttosto ottimista e in fondo, qui come altrove, rimane vera e sempre ineludibile la constatazione che si leggeva proprio nella prima edizione del Dizionario di Bobbio: “Nessuno dei termini del linguaggio politico è ideologicamente neutrale: ognuno di essi può essere usato in base all’orientamento politico dell’utente per suscitare reazioni emotive, per ottenere approvazione o disapprovazione di una certa condotta, infine per provocare consenso o dissenso”…