GIUSEPPE RENSI — Un uomo che pensa al proprio sviluppo spirituale farebbe una sciocchezza se scrivesse. Ciò che uno scrive serve (se mai) allo sviluppo spirituale altrui, non al proprio. Quindi, chi pensa al proprio, legge soltanto. Perché non lasciare che gli altri, scrivendo essi, siano servi dello sviluppo spirituale mio?
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Quando scrivo, dopo poco mi risulta che faccio la cosa più inutile del mondo. A che pro imbrattare ancora carta con tanta che ce n’è già di scombiccherata? Meglio leggere soltanto. Si apprende, si arricchisce o si allarga il proprio spirito, si aumentano le proprie idee. Altrimenti, morirai senza aver letto tutto quello che è già stato scritto d’importante.
Quando leggo, dopo poco mi risulta che faccio la cosa più inutile del mondo. A che pro’ imbeversi come una spugna delle idee altrui? In breve si finisce per constatare che si tratta sempre di pochi soliti motivi di continuo ripetuti con insignificanti o solo apparenti varianti. E del resto, tre quarti di quello che si legge tosto lo si dimentica. Meglio formulare ed enunciare le idee, le riflessioni, le intuizioni che ti sono proprie, elaborare, fissare, porre in forma di creazione esteriore ciò che è tuo.
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Chi confronti il decimo o il quindicesimo libro d’un autore col suo primo o secondo, constata spesso che in questi ultimi egli citava libri altrui, in quelli invece non cita più che libri propri e non fa riferimento che ad essi.
Si finisce, infatti, per leggere solo i libri propri. E — circostanza incredibile, per chi non ne ha scritto molti — con vivo diletto e interesse, come una cosa nuova, dicendo ad ogni momento: «quanto è giusto! quanto è vero! quanto è bene espresso!». Naturale, perché la mentalità di colui che ha scritto è intimamente affine alla mentalità di colui che ora legge; perché vi si ricava la maggiore soddisfazione che si ritrae dalla lettura d’un libro, la soddisfazione, cioè, di trovarvi scritti quelli che sono i nostri stessi pensieri. La principale ragione per cui ci piace un libro non è forse appunto questa: che in esso incontriamo esposto precisamente ciò che avevamo pensato anche noi? Si leggono solo i libri propri, perché si pensa solo sul proprio binario di pensieri. Ed è giusto. A che pro leggere quelli degli altri? Si sa bene che, partendo da un diverso punto di vista, le tesi svolte nei libri altrui conseguono perfettamente. Ma io parto dal punto di vista mio. Da esso consegue solo ciò che ho scritto io.
Le intuizioni sviluppate nei vari sistemi sono cosi molteplici e contraddittorie; esse valorizzano in tal guisa tutti i punti di vista, i quali si lasciano tutti ugualmente sostenere, che è inutile tu ne legga l’esposizione. Svolgi invece l’intuizione tua e vivi mentalmente solo in essa.
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Date ogni giorno un’occhiata alle vetrine dei librai. Vedete quale immensa mole di libri importanti su soggetti importanti sono ogni giorno eruttati. Quanti vi sarebbe necessario leggerne ogni giorno per tener dietro alla cultura! Quanti, a tal fine, sentite l’impulso e la voglia anzi il dovere di leggerne, perché il vostro dovere di uomo di studio ve lo imporrebbe! La cosa è impossibile. E si finisce quindi ragionevolmente per non leggerne nessuno. — Cosi la cultura, e la civiltà in genere, col suo stesso sviluppo, rende impossibile e annienta sé medesima. Il suo stesso processo e dinamismo interno la conduce all’autonegazione. È sempre la leggenda della torre di Babele che ritrova applicazione. Nello stesso momento in cui civiltà o cultura giungono alla loro massima efflorescenza si creano con ciò da sé medesime la propria impossibilità e necessariamente rovinano spezzate dalle inattuabili e contraddittorie esigenze che hanno generato nel proprio seno.
**Il titolo è aggiunto; aforismi e pensieri sono ripresi da: Giuseppe Rensi, Scheggie (Pagine di un Diario intimo). Rieti: Bibliotheca editrice, 1930 [ora di prossima pubblicazione in Giuseppe Rensi, Paradossi di estetica e altri scritti, Pieffe Edizioni, 2018 (eBook; a cura di Fabrizio Pinna)]