César Vallejo: La vita come match

CÉSAR VALLEJO – Chi vola più lontano. Chi dà i migliori pugni. Chi nient’altro. Chi batte il record a tennis, a calcio, nella durata, nell’altezza, nel peso, nella resistenza, nell’intensità. Chi fa più soldi. Chi danza più rapidamente. Record di digiuno, di fumatore, di filatelico; record di canto, di riso, di pietà, di matrimonio, di divorzi, di assassinii, di rivoluzioni…

Il sentimento o forse solo il prurito del record, si propaga in tutte le sfere della vita. Ormai nessuno fa nulla senza guardare al rivale e senza avere in vista la meta che deve sorpassare tutte le mete raggiunte fino ad ora. L’aviatore vola, non già per naturale e libera vocazione al volo, ma per fare quello che gli altri aviatori non hanno ancora fatto. Il danzatore danza, non già per la voglia libera e naturale di muoversi ritmicamente, ma per fare ciò che gli altri danzatori ancora non hanno fatto. L’assassino uccide, non già in un raptus di violenza, di passione o di morboso istinto, ma per fare ciò che gli altri assassini non hanno ancora fatto. Così negli altri fianchi dell’esistenza. L’uomo si muove per paragone con l’uomo. È un torneo, non già di forze che si oppongono francamente, che sarebbe più nobile e umano, ma di forze che si comparano e rivaleggiano, che è stupido e artificioso. Oggi l’uomo non può più vivere e avanzare per conto suo, cioè guardando davanti come richiede l’ordine parallelo delle cose, ma invece vive e si sviluppa tenendo in conto gli avanzamenti e la vita degli altri, cioè guardando obliquamente l’orizzonte.

In questa società di record e di culmini il criterio dominante è la quantità. Si cerca la quantità, maggiore o minore per tutte le unità di misura. La qualità degli atti resta, in questo modo, completamente fuori dalla vita, o se essa in qualche modo vi entra, è sempre per misurarla con il sistema metrico decimale. Nella box uno corretto è meglio dell’altro, nel senso che ha fatto inclinare un briciolo, in favore del picchiatore, la bilancia della lotta. Nel criterio del record persino la grazia, quando c’è, è apprezzata quantitativamente.

Il record, come criterio di vita, ci viene dallo sport. L’anima filosofica di questo criterio, la quantità, ci viene dagli Stati Uniti, da quella cultura di “standard” nella quale persino le lacrime si apprezzano e valorizzano perché esse sono o non possono essere prodotte in serie. A New York, una persona che piangesse immensamente, somministrando lacrime all’infinito, sarebbe una gran fonte industriale, un gran fuoco di attività e di vita.

Il mondo, congiuntamente con la moda dello sport, va adottando il sentimento del record per tutte le attività. La vita è un match stupendo, plurale, sfaccettato, così come prima fu ritenuta una battaglia terribile, sanguinosa. (C’è chi preferisce quest’ultimo carattere della vita). Le manifestazioni di questo “matchismo” sono innumerevoli, rallegrate, comiche, drammatiche, banali, tragiche, metafisiche, mistiche, materialiste, scientifiche. Le sue forme e variazioni non sono meno diverse. Forme di match pure e tipiche, ambigue e travestite. A Cannes si prepara per questi giorni uno strano match di dama, su un gran quadrilatero tracciato in una pianura del mezzogiorno e nel quale faranno da “pedoni” bianchi alcune vergini contadine e da “pedoni” neri altrettanti adolescenti. Due grandi campioni giocheranno questa partita ed essa non avrà nulla da invidiare, in grazia feconda né nel movimento dell’eternità, alle classiche feste dei vigneti svizzeri di Vevey.

È lo sport che ci porta questi ardui valori nella vita. Dovuto alla voga dello sport, il minore atto dell’uomo è un dolore, espresso o tacito, con quello simile del suo prossimo. Siete contenti di questo? No.
La vita come match è una devitalizzazione della vita, come direbbe Antenor Orrego. Polpa morale del match è la schiavitù ed effemminamento. Io non vivo comparandomi a qualcuno né per vincere qualcuno e neppure per superare qualcuno. Io vivo solidarizzandomi e, tutt’al più, riferendomi concentricamente agli altri, però non rivaleggiando con loro. Non cerco di battere il record dell’uomo sull’uomo, ma il superamento, centripeto e centrifugo, della vita. Una cosa è il record della vita e un’altra cosa il trionfo della vita. La vita non è guerra né farsa di guerra. Appena è stimolo e nobile emulazione. Ma il match poggia, necessariamente, su uno stimolo e una emulazione troppo esterni e stretti. Quest’uomo si allena di più perché sa che il suo contendente è, a sua volta, più allenato. Dempsey si prepara e lavora di più per combattere con Tunney che per combattere con Wills. Nella vita si vive e si avanza non perché vivono e si sviluppano gli altri, ma per il sentimento, libero e solo di vivere. Se non ci fosse più di un uomo al mondo, questo uomo vivrebbe solo, senza contendenti, senza emuli e neppure conviventi.

Il match presuppone, quindi, il vicino e lo specchio. Il match si fa, altre volte, per amor proprio, per patriottismo, per vincere soldi, per tanti altri motivi stupidi ed egoisti, nei quali la malizia dell’uomo si mescola al buon sudore dell’animale.
Parigi, agosto 1927

**Traduzione 2017: © Fabrizio Pinna – Diritti riservati.
Testo originale: César Vallejo (1892-1938), La vida como match, «Variedades», n. 1021, 24 settembre 1927